«L’Aquila adesso deve tornare a volare: noi ci abbiamo messo braccia e affetto»

Cosa resterà dell’adunata degli alpini? I commenti delle penne nere pordenonesi a partire dal presidente Gasparet

INVIATO ALL’AQUILA. Cosa resterà dell’adunata degli alpini a L’Aquila? Riassume l’ideale “programma” il past president del Coa, il “guru” di Pordenone 2014, Nino Geronazzo.

«Il motto gli aquilani ce l’hanno già: L’Aquila deve tornare a volare. Anche grazie al segno di grande fratellanza lanciato dalla presenza di tanti alpini». Se ne aspettavano di meno, «invece tutte le sezioni hanno risposto bene alla chiamata solidale, come dopo il terremoto».

Dopo averci messo le braccia, sei anni fa, ieri le penne nere hanno ricevuto il grazie. «Nel primo tratto di sfilata – ha detto il presidente della sezione Giovanni Gasparet – non potevano non balzare all’occhio molti vuoti, dietro le transenne. Nel tratto finale, il pieno».

Pordenone ha risposto oltre le aspettative. «Molti alpini – prosegue Geronazzo – hanno voluto rivedere i luoghi della naia e di intervento. E’ stato un abbraccio ideale ai cittadini». Dopo le braccia, insomma, l’affetto. «I cittadini di Fossa hanno aperto le porte delle case ricostruite dagli alpini. Hanno voluto mostrarci come le tengono», si commuove Gasparet ricordando i mesi di lavoro delle penne nere pordenonesi in Abruzzo.

Ecco, la luce: l’affetto della gente, quella che c’era. E quella delle penne nere per i pordenonesi: «L’anno scorso siete stati i migliori». Le ombre le hanno snocciolate decine di ospiti: organizzazione lacunosa, itinerario di sfilata disarmonico, mancanza di indicazioni e, soprattutto, di bandiere. Fanno calore e clima. Pordenone ne aveva “girate” a migliaia. Dove sono finite?

«Ho visto pochi aquilani in giro – tira le somme Umberto Scarabello, vicepresidente della sezione e capogruppo di Maniago –. La gran parte di quelli che erano dietro le transenne erano i nostri, accompagnatori e familiari delle sezioni. Probabilmente la situazione logistica era difficile, forse quelli che abitano fuori non hanno potuto raggiungere il centro. Qualche bella decina di metri di transenne era completamente libera. Non ho visto, inoltre, una grande organizzazione. Ho vissuto il terremoto del Friuli: la parte alta della città mi ha messo angoscia; mi pare una situazione drammatica, non vedo la luce in fondo al tunnel. La gente si sistema altrove e la città muore. Bisognava ricostruire e non puntellare. Da noi si era operato diversamente. Anche Venzone era così: numerarono i sassi e ripartirono».

«Ciò che ha lasciato perplessi – conferma Luciano Nicli, capogruppo di Casarsa San Giovanni – è stata l’organizzazione. Ci sono state molte pecche. Non si può improvvisare un’adunata su due piedi: pensate che per Asti 2016 stanno lavorando già da tempo. Gasparet e Geronazzo erano stati oltre un anno gomito a gomito, tutti i giorni».

Diverso il discorso sulla gente: «A San Demetrio, dove ho fatto da capocampo per un periodo, l’ho vista molto, molto triste. Attende la ricostruzione e non sa quando e come ripartirà. Tutto è immobilizzato dalle istituzioni: capisco i tesori d’arte, ma la gente deve vivere».

La sfilata «è stata coinvolgente, ho percepito affetto ed entusiasmo. Ho ancora nelle orecchie un “grazie” continuo agli alpini e a Pordenone. A detta di molti è stata irraggiungibile per l’organizzazione».

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