L’arte del tatuaggio conquista il Fvg: in meno di dieci anni da 11 a 113 botteghe

L’udinese Luca Pittoni, 20 anni di attività alle spalle, è uno dei pionieri: «Cresciuta la clientela: non solo ragazzini, ma anche direttori di banca»

UDINE. Una professione o una vera e propria arte, con i suoi geni e i suoi capolavori? La questione, alla fin fine, è irrilevante: ognuno può restare della sua opinione, ma una certezza c’è, e viene dai numeri: artisti o semplici artigiani che siano, in pochi anni i tatuatori (compresi gli specialisti di piercing) sono diventati, da quello sparuto manipolo che erano fino a una decina di anni fa, un piccolo esercito.

Quattromila a livello nazionale, 117 in Friuli Venezia Giulia, con 133 botteghe aperte, più che decuplicate rispetto alle 11 che si contavano in tutta la regione meno di dieci anni fa, alla fine del 2009.

Di quell’avanguardia fa parte Luca Pittoni, udinese classe 1968, uno dei pionieri del tatuaggio made in Friuli, con venti anni di professione alle spalle. «Cos’è cambiato rispetto a quando ho incominciato? Molto. Adesso ci sono le scuole e tanti professionisti per fare pratica, quando ho cominciato io i primi tatuaggi erano per forza di cose fatti in casa e sulla pelle di amici disposti a fare da cavie. Ma il cambiamento decisivo è l’innovazione delle tecnologie e dai materiali, che oggi ci consentono di riprodurre tutto e di realizzare, per chi ne ha la capacità, vere e proprie opere d’arte e tatuaggi iperrealistici, con livelli di definizione da fotografia».



Radicalmente cambiata, oltre che cresciuta esponenzialmente, anche la clientela: «A metà degli anni Novanta – conferma Luca – era fatta quasi esclusivamente da giovani e giovanissimi, spesso militari di naia, perché tatuarsi era una sfida, un atto di ribellione che richiedeva coraggio. Oggi si tatuano senza distinzioni di età, sesso e status sociali, compresi gli ultracinquantenni e i direttori di banca».

E le liste di attesa, nonostante il proliferare di tattoo-shop, si sono allungate a dismisura: «Fino a una decina di anni fa i miei clienti dovevano aspettare al massimo due o tre mesi, oggi come oggi ce ne vogliono otto: la prima seduta libera ce l’ho a maggio 2019».

Se gli italiani già tatuati sono 7 milioni, pari al 13% degli over 14, anziani compresi, come confermano gli ultimi dati dell’Istituto superiore di sanità, la lunghezza dei tempi di attesa non desta poi troppo stupore. Ad alimentare la domanda, inoltre, contribuisce il tam-tam dei media e soprattutto dei social-network, prima fonte di ispirazione per chi fa la fila per tatuarsi: «Sì –conferma Luca – gli influencer pesano tantissimo non soltanto come spinta a tatuarsi, ma anche nella scelta dei soggetti: in molti arrivano chiedendo di copiare pari pari il tatuaggio di quel calciatore o di quella cantante. Se copiare si può? Io credo che non sia corretto e che un bravo tatuatore debba limitarsi a prendere spunto dal soggetto che gli viene proposto».

Questione di etica professionale, uno dei tanti aspetti che fanno la differenza tra i 4mila professionisti del settore registrati nelle Camere di Commercio e un esercito, molto più numeroso, di dilettanti, tatuatori della domenica certo più a buon mercato, ma anche meno affidabili dal punto di vista della qualità e sotto il profilo sanitario.

«Noi professionisti siamo controllati dalle aziende sanitarie – commenta Luca – e informiamo sempre i nostri clienti di tutto ciò che comporta un tatuaggio, a partire dal fatto che è una scelta che si fa per tutta la vita. Anche un brutto tatuaggio, come quelli più riusciti, è per sempre, e riparare i danni è quasi sempre impossibile».

Già, perché un tatuaggio non si cancella. Al massimo, quando è riuscito male o non piace più, si può provare a coprirlo o modificarlo. Alle volte, però, neanche questo è possibile. Non fosse per sempre, del resto, è probabile che la domanda sarebbe ancora più alta. A far desistere molti, infatti, è la prospettiva di ritrovarsi, da vecchi, lo stesso tatuaggio su un corpo decadente. Un punto di vista che Luca rispetta, ma senza condividerlo: «Non è il tatuaggio che fa la differenza: vecchi e rugosi lo diventeremo anche senza».
 

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