L’ascesa di Cinemazero dagli esordi difficili al periodo d’oro

Merito di un gruppo di giovani appassionati e caparbi Le prime proiezioni avvennero nella sala Cral di Torre

Era il marzo 1978 quando un gruppo di giovani, tutti fra i 23 e i 29 anni, perseguitavano l’amministrazione comunale con martellanti richieste per poter proiettare film nel vecchio dopolavoro del cotonificio a Torre di Pordenone. Aldo Moro era stato rapito dalle Brigate Rosse pochi giorni prima e l’Italia era nel pallone completo, ma loro imperterriti distribuivano un volantino in città – rigidamente ciclostilato in proprio – annunciando l’inizio dell’attività per il 24 marzo 1978. Lo scritto cominciava dicendo: «Cinemazero, perché si parte da zero, in una città che non ha strutture culturali, in qualsiasi specifico culturale si voglia intervenire... vogliamo tutti ripercorrere le tappe della nostra formazione di consumatori di immagini... decodificare il linguaggio, comprendere i meccanismi di manipolazione per una fruizione sempre meno passiva e acritica... iniziamo la nostra attività nella sala del Cral di Torre di proprietà del Comune. Questa scelta non è casuale, ma allude alla necessità di creare servizi culturali pubblici di cui devono farsi carico gli enti locali...». Insomma, un vero e proprio manifesto programmatico così preveggente, così lucido che non è cambiato, nel corso di questi ultimi 40 anni, nelle sue linee generali. Quel gruppetto di giovani esprimeva l’impellente esigenza di poter vedere in città quel cinema che la censura di mercato non faceva transitare per Pordenone. Nel 1977 erano usciti in Italia ben 713 film e soltanto 95-100 venivano proiettati nei cinema della città. Gli altri 600 inghiottiti da una specie di buco nero: il giovane cinema tedesco, il cinema americano indipendente, Andrei Tarkovskij e tanto altro rimanevano invedibili. Da questa invisibilità del cinema d’essai partiva la pressante richiesta di quel manipolo di ragazzi. Alla fine vennero finalmente concesse, nella decentrata sala del dopolavoro del cotonificio (Cral) di Torre, due sere la settimana di proiezioni. Non furono presi all’inizio troppo sul serio, la mimica facciale dei politici nei confronti dei giovani cinemazerini tradiva allora umana “pietas”, col retropensiero di «lasciamoli fare, così almeno non rompono le scatole. Si stancheranno subito da soli». E invece una granitica caparbietà unita a una sconfinata passione ha avuto la meglio. Superati, non senza fatica, i primi tempi, ecco arrivare per Cinemazero il periodo aureo, novello re Mida, tutto quello che tocca si trasforma in oro ovvero con un seguito di pubblico incredibile. Fra la fine degli anni 70 e gli anni 80, mentre gli altri cinema chiudono uno dopo l’altro, Cinemazero inanella una serie di importanti successi: dalla prima retrospettiva in Italia su Pier Paolo Pasolini, accompagnata da una mostra dei disegni originali, a una mostra fotografica e a una pubblicazione, “Il cinema in forma di poesia”, andata subito esaurita. «Con intelligenza e umiltà, un gruppo di giovani ha lavorato alla realizzazione di questa iniziativa – scriverà Gian Piero Brunetta su La Repubblica del 5 gennaio 1980 – alla quale si può riconoscere il merito di costituire d’ora in avanti un punto di riferimento fondamentale per ogni tentativo di analisi della presenza culturale di Pasolini... Una folla di critici, organizzatori e studiosi di varie nazionalità ha fatto tappa proprio a Pordenone e ne è ripartita carica di materiali e di nuove idee i cui frutti non tarderanno molto a entrare in circolazione». E poi la rivisitazione del cinema italiano nel periodo del boom con “1960 e dintorni”, il primo cinema all’aperto in piazzetta Calderari e poi al parco Galvani (con anche 1.300 presenze a sera), le maratone cinematografiche, “Le giornate del cinema muto” e la riscoperta di Tina Modotti. In poco tempo Cinemazero raggiunge così le 100 mila presenze annue. Calcisticamente l’affezionato pubblico pordenonese, e non soltanto, mette quindi in essere un contropiede nei confronti della politica locale che non può più ignorare questo gruppetto di giovani, pena scontentare le migliaia di persone che seguono la loro attività sempre più ampia e articolata. Incontri con l’autore, rassegne monografiche, film in lingua originale, approfondimenti, pubblicazioni, mediateca si sono susseguiti in maniera incalzante.

L’elenco delle personalità che hanno reso indimenticabili alcuni incontri potrebbe essere lunga, citiamo solamente Abel Ferrara, Nanni Moretti, Paolo Sorrentino, Marco Bellocchio, Sergio Leone, Pupi Avati, Damiano Damiani, Laura Betti, Giuseppe e Bernardo Bertolucci, Franco Piavoli, Michelangelo Antonioni, Ermanno Olmi, Daniele Lucchetti, Carlo Mazzacurati, Silvio Soldini, Altan. La costante attenzione, ai limiti dell’ossessione, per la sala ha fatto sì che a Cinemazero prendesse forma, sempre fra ente pubblico ed ente privato come recitava il primo volantino, l’unica multisala in città. La sala Grande, poi la sala Pasolini alla quale si è aggiunta la sala Totò e una quarta recentemente: quattro schermi cittadini votati al cinema d’autore, al d’essai, ma anche al mainstream più colto.

Nel corso del tempo Cinemazero, oltre a proiezioni, festival e incontri, ha sviluppato un patrimonio iconografico consistente e unico nel panorama culturale che ha permesso di allestire mostre fotografiche in Italia e nel mondo. Da questo patrimonio sono nati, fra l’altro, documentari come “Federico Fellini: l’ultima sequenza di Mario Sesti”, presentato al Festival di Cannes nel 2003 e “Pasolini prossimo nostro” di Giuseppe Bertolucci, riflessione autoriale sull’ultimo film di Pasolini “Salò o le 120 giornate di Sodoma” e presentato alla Mostra del cinema di Venezia nel 2006. Se guardare il film sul telefonino diventa un’esperienza privata, personale, di consumo singolo, il grande schermo rimane ancora un’esperienza collettiva unica, una rivelazione, un’immersione totale in una forma d’arte visiva. In questa specie di “rivoluzione permanente”, Cinemazero tende a conservare e preservare la dimensione sociale della visione cinematografica in sala. Una storiella ebraica narra che «Dio ha creato l’uomo perché aveva bisogno di qualcuno che gli raccontasse delle storie», traslando si potrebbe dire che l’uomo ha creato il cinema per farsi raccontare delle storie. Storie che, dicono quelli di Cinemazero, dovrebbero aiutarci anche a capire meglio, e di più, la realtà che ci circonda. (5 - fine)

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