Lascia il lavoro in negozio per la malga: storia di Chiara, tra le poche "casare" del Friuli

PALUZZA. Nella cella del formaggio si muove come un filo d'erba accarezzato dal vento nel pianoro di malga Pramosio, in comune di Paluzza. Gira le forma, controlla le numerazioni come fossero pezzi da museo. Le sente un po' sue perché sono il frutto del suo lavoro quotidiano. Chiara Cattarossi, 28 anni, nata e cresciuta a Tricesimo, con un passato da navigatrice rally alle spalle, è una delle pochissime se non l'unica donna casaro in Carnia. Nel laboratorio del formaggio Chiara si muove con leggerezza come se quel mestiero considerato maschile dai più, fosse frutto di una passione innata, emersa dopo il corso di studi in Agraria con specializzazione in vivaistica.
«Se tornassi indietro mi dedicherei alla zootecnia» rivela lasciando intendere la scarsa affinità maturata con le piante alle quali era stata avvicinata dai suoi genitori. Le è bastato lavorare un anno in un vivaio per capire che quello non poteva essere il suo mestiere.
Sguardo penetrante che spazia tra i crinali percorsi nella Grande guerra dalle portatrici carniche, teatro poi dell'eccidio di civili il 21 luglio 1944, davanti al camino accedo della malga, la giovane casara descrive la passione per la montagna che coltiva fin da quando era bambina. Una passione che continua a ricordarle quanto arduo possa essere il cammino e quanto gratificante sia raggiungere la vetta e, quindi, realizzare un sogno. È stata questa convinzione a spronare Chiara a rinunciare al contratto quinquennale ottenuto dopo un'esperienza da commessa in un supermercato, per sostenere il test di accesso al corso di casaro appena istituito dalla Regione al Cefap di Codroipo e per la parte pratica a Cividale. Inizia da qui la storia della casara più esile della montagna friulana.
«Non ho mai pensato di fare la cassiera per sempre – rivela Chiara -, aspettavo l'occasione giusta per cambiare». Un'occasione che non le si è presentata immediatamente, alcuni curricula sono finiti in archivio con un nulla di fatto, ma lei non si perde d'animo. Insiste, si presenta altrove: «Avevo un conto in sospeso con me stessa». La scorsa primavera, a chiudere quel conto è stato Marino Screm contattandola dopo aver ricevuto il messaggio di posta elettronica in cui Chiara si proponeva coma casara. «Due minuti dopo l'ho chiamata».
Screm è nato e cresciuto in Pramosio - dal 1974 la sua famiglia gestisce la malga di proprietà della Regione – cerca casari da sempre perché questo è un mestiere poco tramandato dagli anziani e per nulla gettonato tra i giovani. Chiara era e resta un'eccezione: «Quando ci siamo incontrati per la prima volta mi ha detto che dal lavoro voleva trarre soddisfazione e io ho pensato “questa fa per me"». La giovane casara viene accolta come una figlia da Pietro Screm, il padre di Marino, che le trasferisce tutto il suo sapere. Alle volte si stupisce pure lui per la naturalezza con cui quella giovane donna trasforma il latte in formaggio.
Oggi Chiara, a pochi mesi da quell'incontro, è la regina del caseificio di malga Pramosio. La sua giornata inizia alle 5,30 del mattino. A quell'ora la sveglia la butta giù dal letto e le lascia solo il tempo per sorseggiare un caffè veloce e scendere nel caseificio. «Tolgo la panna, preparo per il latte che mi arriva appena munto, sistemo il formaggio del giorno prima e lo metto in salamoia. A quel punto inizio a scaldare il latte anche se dipende dalla giornata, alle volte faccio yogurt altre caciotte. Organizzo le diverse lavorazione e vado avanti fino circa alle 13».
Si chiude così la parte più faticosa della giornata perché il lavoro del pomeriggio Chiara lo considera quasi un diversivo. «Giro i formaggi nel celar (il locale adatto per la stagionatura del prodotto ndr) e seguo lo spaccio, a sera tiro fuori dalla salamoia le forme e la giornata è finita». Il volto di Chiara non è segnato dalla stanchezza perché lei apprezza ogni minuto del suo vivere e lavorare in montagna. «Nelle giornate assolate non pesa nulla, mentre la pioggia è rilassante. E poi c'è la musica» aggiunge a chi le chiede se l'imperversare delle nuvole tra quelle rocce le crea tristezza. Non soffre la lontananza dagli amici che vede una volta a settimana quando scende a valle: «Essere quassù mi dà una possibilità di crescita in più e mi fa credere in me stessa».
A Pramosio l'isolamento è obbligato non tanto per il collegamento viario che seppur tra nuvole di polvere, garantisce l'accesso con determinati mezzi, ma soprattutto per la carenza di collegamenti telefonici: «Otto anni fa uno dei gestori della telefonia mobile ha rimosso l'antenna che garantiva il funzionamento dei telefonini, mantenerla sarebbe stato troppo costoso – spiega Marino Screm – ma questo per noi è un problema, non riusciamo a scaricare le prenotazioni e non possiamo dare ai clienti la possibilità di pagare con le carte».
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