L’assassino di Silvia Gobbato in aula a Trieste dall’11 luglio

Fissata l’udienza preliminare a carico di Nicola Garbino, reo confesso dell’accoltellamento della donna. Contestato il sequestro di persona a scopo di estorsione. La famiglia pronta a costituirsi parte civile
Udine 17 Settembre 2013. Omicidio giovane avvovato a Plaino. Telefoto Copyright Agenzia Foto Petrussi / Petrussi Diego
Udine 17 Settembre 2013. Omicidio giovane avvovato a Plaino. Telefoto Copyright Agenzia Foto Petrussi / Petrussi Diego

UDINE. Il prossimo 11 luglio, Nicola Garbino, 37 anni, di Zugliano, farà il proprio ingresso nel tribunale di Trieste, per partecipare all’udienza preliminare che deciderà tempi e modi del processo che lo vede imputato dell’omicidio di Silvia Gobbato, la praticante legale uccisa il 17 settembre 2013, mentre praticava jogging lungo l’ippovia del Cormôr.

La data è stata fissata dal tribunale giuliano, dopo che il pm della Direzione distrettuale antimafia, Federico Frezza - al quale il caso era stato trasferito da Udine per competenza alla fine di maggio -, aveva chiuso l’inchiesta, introducendo una sostanziale modifica al capo d’imputazione.

A Garbino, che due giorni dopo l’accoltellamento era stato arrestato a poca distanza dal luogo del delitto e che agli inquirenti aveva confessato di avere ammazzato la ragazza, spiegando però di essere uscito di casa con l’intento di sequestrare qualcuno, il magistrato non contesta più - o meglio, non soltanto - le ipotesi di reato dell’omicidio e del tentato sequestro di persona a scopo di estorsione (oltre al porto d’armi), ma anche, in alternativa, quella del tentato sequestro di persona aggravato dall’omicidio.

Esaminate le carte, il pm Frezza ha quindi deciso di unificare in un’unica fase l’intera azione criminale, privilegiando il sequestro e assegnando all’omicidio la funzione dell’aggravante speciale. In questo modo, l’interpretazione data all’atto omicidiario è quella della reazione a una situazione di panico inaspettata. Il che, tecnicismi a parte, potrebbe incidere in maniera significativa sul computo della condanna (la pena prevista è l’ergastolo), qualora l’imputato chiedesse l’ammissione al rito abbreviato (che garantisce lo sconto di un terzo della pena). Sul punto, gli avvocati Manlio Bianchini, di Udine, ed Elisabetta Burla, di Trieste, codifensori di fiducia di Garbino, preferiscono non fare anticipazioni.

L’impressione, comunque, è che l’orientamento sia quello di affidarsi ai riti alternativi. Rimanendo cioè di fronte al gup, con conseguente permanenza del processo a Trieste (in caso di rinvio a giudizio e dibattimento davanti all’assise, invece, sarebbe celebrato a Udine).

Di certo, intanto, c’è che all’udienza dell’11 luglio la famiglia della vittima si costituirà parte civile. La madre Cinzia Maria Perosa e il fratello Paolo Gobbato saranno assistiti dall’avvocato Federica Tosel, mentre il padre Adriano Gobbato dal collega Luigi Francesco Rossi. Facile prevedere come, a meno di un anno di distanza da quel tragico martedì pomeriggio, varcare la porta del palazzo di giustizia triestino sarà per tutti una sofferenza immane. E lo sarà anche per i tanti amici e colleghi che, da quel giorno, non riescono a darsi pace per la fine toccata a una ragazza tanto brillante, gioiosa e disponibile.

È il capo d’imputazione a riassumere, in poche righe, l’assurdità del “film” andato in scena al Cormôr. «Si travisava - scrive il pm parlando dell’imputato -, si procurava del nastro adesivo per legare la vittima e trattenerla fino alla consegna del riscatto, si procurava un contenitore per schermare le emissioni del cellulare e un coltellaccio. Si appostava più volte nei pressi della cosiddetta ippovia, in attesa della vittima ideale (non troppo veloce, nè troppo robusta) da sequestrare.

Al terzo appostamento - continua - individuava Silvia Gobbato (a lui del tutto sconosciuta), la attendeva al varco, si metteva a correre dietro a lei con l’intento di aggredirla da tergo e trascinarla nel luogo prescelto per tenerla sequestrata. Sennonchè, la vittima si girava, vedeva il coltellaccio e si metteva a urlare. A quel punto - conclude -, Garbino la accoltellava per una dozzina di volte, fino a cagionarne il decesso. Poi spostava il cadavere e si allontanava». Due giorni dopo, sarebbe tornato sul posto per prelevare gli indumenti sporchi di sangue e l’arma. Come se niente fosse. E come ammise rivolgendosi ai carabinieri che lo avvicinarono e ammanettarono: «Sono stato io».

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