Latte fresco e caglio, la ricetta del Montasio è la stessa di una volta

Alessandra Beltrame

Latte fresco, non pastorizzato. E poi caglio e sale. Tutto qua. Niente additivi. Il formaggio Montasio Dop si fa ancora come una volta. E gli intolleranti sappiano che il lattosio scompare dopo due mesi di stagionatura, ma si consiglia il consumo dai tre mesi in su, quando il gusto esprime il suo carattere »armonico ed equilibrato».

Che Joe Bastianich l’abbia scelto per il suo panino firmato per McDonald’s, dandogli fama nazionale, è solo un dettaglio: con 892 aziende zootecniche, 42 caseifici, 15 aziende di stagionatura e un fatturato al consumo di 60 milioni di euro, il formaggio Montasio Dop, erede nobilitato dello storico latteria, è una realtà consolidata.

«Abbiamo estimatori in tutta Italia e all’estero» spiega il direttore del Consorzio di Tutela Renato Romanzin. La produzione abbraccia tutto il Friuli Venezia Giulia e parte del Veneto Orientale (province di Venezia, Treviso, Belluno).

La sostenibilità sta nella capillare distribuzione sul territorio delle stalle, con il punto di forza nelle aziende medio piccole. L’innovazione sta nell’attualizzazione tecnologica dei processi produttivi di tutta la filiera, nel rispetto rigoroso dei protocolli, dalla vita degli animali all’alimentazione, dal conferimento del latte alla sua immediata trasformazione.

«È un prodotto che appartiene alla storia, alla cultura e che ha rappresentato un fattore di sostentamento importante per il mondo agricolo. Una tradizione che va difesa e protetta.

Se vogliamo fare in modo che continui, innovazione e sostenibilità al giorno d’oggi sono fondamentali». Risale a quasi 350 anni fa la prima “apparizione” del gustoso alimento: porta la data del 22 agosto 1773 il prezziario conservato nella biblioteca Guarneriana di San Daniele del Friuli in cui gli abati di Moggio citano il “Formaggio di Montasio vero” fra i più pregiati (e più costosi!) del tempo.

Verosimilmente il prodotto caseario già allora veniva dal soleggiato altopiano posto a sud sopra Sella Nevea dove ancora oggi la storica Malga Montasio gestita dall’Associazione Allevatori del Friuli produce il profumato formaggio d’alpeggio con il latte delle bovine che durante l’estate pascolano sui vasti prati con vista sull’iconica vetta delle Alpi Giulie.

Il Consorzio Tutela Montasio, nato nel 1984, sovrintende all’unica denominazione di origine protetta del settore lattiero-caseario del Fvg. Il riconoscimento UE della Dop risale al 1996, ma già nel 1955 ne viene riconosciuta la tipicità in quanto espressione dell’identità di un territorio e dei suoi valori.

Il direttore Romanzin ci tiene a declinare la sostenibilità anche in chiave economica. «Il Montasio è un prodotto che deve assolutamente incrementare il suo valore. Ricordiamoci che per ogni chilogrammo servono undici litri di latte e che una mucca di 5-600 chili per produrre 30 litri di latte deve mangiare circa 40 chili fra fieno e mangimi al giorno.

Poi durante la stagionatura (consigliata minimo di tre mesi) avviene un’ulteriore selezione affinché entrino in commercio solo le forme migliori (860 mila quelle vendute nel 2021). Con l’Università abbiamo in corso un progetto di ricerca finalizzato a rafforzarne la tipicità e la qualità».

Questo include anche la riduzione dell’impatto ambientale. «Maggiori superfici per le bovine e minore consumo di acqua». L’innovazione per il Consorzio Montasio sta sia nel perfezionamento del processo di caseificazione sia nella cura degli animali.

«La mucca è una fantastica creatrice di valore. Il benessere animale è importantissimo per la qualità e la salubrità del latte: si è passati dalla stabulazione fissa a quella libera. Rigido il protocollo certificato dal disciplinare per l’alimentazione degli animali: fieno e insilati, composti a base di mais, tutti mangimi naturali».

Anche l’educazione alimentare conta: il progetto “Latte nelle scuole” curato dal Consorzio ha raggiunto 1600 ragazzi delle scuole primarie che hanno visitato stalle e caseifici.

«Vogliamo trasmettere ai giovani consumatori un’emozione. L’espressione dei suoi sapori è l’anima del territorio ed è frutto di una tradizione, di una sapienza, di una cultura che sono patrimonio di tutti».

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