Le carte segrete delle “lucciole” nell’epoca fascista -FOTO

Boom di consensi per la mostra virtuale di un pordenonese. Il materiale trovato per caso in un edificio in demolizione a Casarsa 

UDINE. Dai sacchi di iuta trovati in una casa in demolizione nella campagna di Casarsa della Delizia è uscito un patrimonio storico che racconta l’attività di meretricio ai tempi del Fascismo, esercitato in alcune case di tolleranza friulane.

Un mondo spazzato via nel 1958 con l’approvazione della legge della parlamentare Lina Merlin che ha eliminato la prostituzione legalizzata in Italia.

Davide Scarpa, 44 anni, di Tamai di Brugnera, lo ha riportato alla luce dopo che un amico demolitore lo aveva rinvenuto in un’abitazione, nascosto all’interno di un’intercapedine. D’accordo con i proprietari, ha deciso, dopo diversi tentativi di farne una mostra («e ogni volta è saltato tutto all’ultimo momento» spiega) di aprire un museo virtuale su Facebook: una pagina (“Museo delle case di tolleranza nel ventennio fascista”) in cui pubblica documenti e foto del materiale recuperato. Una pagina che ha ricevuto centinaia di “mi piace”.

Il materiale proviene da 4 o 5 case di tolleranza della regione: Sacile, Trieste sicuramente e altre due o tre della provincia di Udine. «Tutti oggetti - spiega - che appartenevano ad un amministratore delle case». Sono documenti, un diario, gioielli, borse, strumenti di bellezza come “ondulacapelli” secondo la moda dell’epoca, effetti personali, ma anche abiti adatti alle occasioni e cappelli. Inoltre registratori di cassa, spazzole e farmaci risalenti al Ventennio. Oggetti che Scarpa ha recuperato e catalogato.

Trovati anche originali cimeli come i preservativi che il regime forniva secondo i corpi di appartenenza. «Ci sono quelli che venivano dati alla milizia - afferma Scarpa - che ho disteso con le cautele del caso e che riportano la scritta Viva il Duce». Visitando il museo virtuale, «dove ho caricato le foto di parte del materiale che ho a disposizione» spiega Scarpa, si può scoprire la vita delle case di tolleranza, ma anche uno spaccato della società del ventennio. Come l’obbligo di iscrizione al Partito Fascista, che dal 1938 non aveva risparmiato neppure le donne delle case. Oppure le regole morali e di igiene a cui dovevano sottoporsi le italiane che si prestavano a questa attività. Donne che dovevano essere assolutamente senza marito e, per questo, molto spesso venivano fatte passare per vedove, anche se non lo erano.

I vestiti, in particolare, raccontano la moda dell’epoca, con seta, pailettes, piume e ricami. «Le signorine della casa erano tenute a osservare un rigidissimo regolamento sul decoro - racconta Scarpa -, che le obbligava a tenere tutto il loro vestiario, fornito in comodato d'uso e scelto personalmente dalla tenutaria, come una divisa da lavoro, sempre in perfetto stato di ordine e pulizia ineccepibili, e la normale manutenzione era completamente a loro carico». Dai documenti pubblicati si scopre anche che per esercitare bisognava superare un regolare esame di abilitazione.

Tutto il materiale è custodito da Scarpa nella sua abitazione di Tamai di Brugnera. Chi vuole può andare a vederlo e anche farsene una copia: «La storia - conclude - è di tutti. Le cose hanno un valore se vengono condivise».

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