Le indagini parallele dei genitori di Trifone

Chi ha ucciso Teresa e Trifone? Per mesi, a casa Ragone, questa domanda ha tormentato genitori e fratelli. Tanto che i familiari di Trifone, assassinato a 28 anni fuori dalla palestra del palasport di Pordenone con la sua fidanzata Teresa Costanza il 17 marzo del 2015, hanno cominciato le loro peregrinazioni da Adelfia al Friuli occidentale per seguire da vicino le indagini. E dare il proprio contributo.
«Salivamo ogni fine settimana. Sentivamo tutti, con il consulente Simone Bonifazi: gli amici della palestra, gli esterni, le persone che Trifone conosceva. Poi andavamo dai carabinieri a riferire», ha raccontato Francesco Ragone, il padre di Trifone.
«Lei ha cercato di parlare con tutti, di sapere dove era andato Trifone? Si informava perché le indagini erano ancora in alto mare?», ha chiesto una precisazione l’avvocato di parte civile Serena Gasperini. Il papà di Trifone ha confermato. Prima che Giosuè Ruotolo fosse iscritto nel registro degli indagati, alla fine di settembre 2015, sei mesi dopo il delitto, gli inquirenti stavano passando al setaccio una decina di piste investigative.
Poi dal 1° ottobre Francesco Ragone ha ottenuto il trasferimento alla cancelleria fallimentare del tribunale di Pordenone (prima era impiegato al palazzo di giustizia di Bari). Così è riuscito a ridurre le spese di viaggio. Più di novecento chilometri, solo in andata.
Gli stessi che hanno percorso domenica notte, alternandosi alla guida, Francesco, la moglie Eleonora e i figli Giovanni e Giuseppe Ragone per raggiungere il tribunale di Udine. È stato il loro giorno ieri in Corte d’assise, al processo a carico di Giosuè Ruotolo.
«Per noi Trifone era il pilastro centrale della famiglia –, ha ricordato papà Francesco –. Mi manca un figlio, un confidente, un amico». Trifone, che «sin da quando aveva nove anni ha cresciuto i fratelli, preparandogli da mangiare a pranzo perché noi eravamo al lavoro». Trifone, che accreditava il suo stipendio sul conto corrente di mamma Eleonora per contribuire alle spese di famiglia. Che aveva firmato un finanziamento per aiutare il fratello Giuseppe in un’attività in proprio. Ma aveva sostenuto economicamente anche l’altro fratello Giovanni. Per la sua famiglia, si faceva in quattro.
Dal racconto di papà Francesco affiora il primo ricordo di Giosuè Ruotolo: «Inciampai sul suo corpo in garage, rincasando alle 6 del mattino. Erano tutti distesi sul materasso, lui e altri ragazzi che erano venuti a stare da noi ad Adelfia per le visite mediche della Guardia di finanza».
Emerge, però, anche il ricordo di un molestatore di Teresa, non collegato, secondo gli inquirenti, ai messaggi anonimi su Facebook.
«Trifone mi parlò di uno che dava fastidio a Teresa con gli sms, io telefonai al suo numero di cellulare tre o quattro volte dall’ufficio, finché verso le 13 mi rispose. Rimase sorpreso quando gli dissi, educatamente, di desistere», ha precisato Francesco.
Il padre di Trifone ha confermato l’episodio dei venti euro, riferito già in aula dalla moglie Eleonora Ferrante, ma nonconfermato dai due coinquilini Sergio Romano e Daniele Renna. All’hotel Damodoro, pochi giorni dopo la morte di Trifone, i commilitoni vanno a porgere le condoglianze alle famiglie delle vittime. «Mi ricordo benissimo quel giorno – ha esordito Francesco Ragone –. Ruotolo uscì fuori con il discorso, voleva far capire che Trifone gli aveva fatto un “buco”, cioè un debito. Mia moglie e io ci agitammo, pensammo chissà quanti soldi, mia moglie disse alla bambina: vai a prendere la borsa con il carnet degli assegni. Romano diede come una spinta agli addominali di Ruotolo, dicendo, statte zitto, per venti euro, dopo quante ne ha fatte Trifone per noi e il discorso finì lì». Giuseppe e Giovanni, invece, non si ricordano di quella circostanza.
È con il groppo in gola per la commozione che il fratello più piccolo di Trifone, Giuseppe, siede poi sul banco dei testimoni. Fatica a parlare. Con Trifone è scomparso il suo punto di riferimento. Si confrontavano sugli allenamenti, per lui il primogenito era un modello.
L’avvocato Gasperini gli porta una bottiglia d’acqua. Ricorda l’ultima telefonata con Trifone, tre giorni prima della sua morte. Come erano spensierati, si prendevano in giro sugli allenamenti di pesistica. Non c’era un’ombra nella voce del fratellone.
Quella vera, l’unica che davvero conta, rimane sul volto di chi ha posto fine ai suoi giorni.
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