Le lettere degli esercenti, estetiste e parrucchieri al premier Conte: "Presidente, facci lavorare subito"

In Friuli titolari di bar, negozi, estetiste, parrucchieri ma anche sindaci e amministratori hanno preso carta e penna e scritto al presidente del Consiglio
Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte a Palazzo Chigi durante l'incontro con le parti sociali, Roma,5 maggio 2020. ANSA/FILIPPO ATTILI UFFICIO STAMPA PALAZZO CHIGI +++ NO SALES EDITORIAL USE ONLY +++
Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte a Palazzo Chigi durante l'incontro con le parti sociali, Roma,5 maggio 2020. ANSA/FILIPPO ATTILI UFFICIO STAMPA PALAZZO CHIGI +++ NO SALES EDITORIAL USE ONLY +++


Se si digita su Google le parole “lettera a Giuseppe Conte”, il motore di ricerca restituisce 25 milioni e 500 mila risultati in meno di 42 secondi. Cifre da capogiro che riflettono un sentire comune dal Nord al Sud da parte soprattutto degli esercenti, costretti a tenere giù le serrande dei loro negozi per la chiusura forzata imposta dal governo. Non fa eccezione il Friuli dove titolari di bar, negozi, estetiste, parrucchieri ma anche sindaci e amministratori hanno preso carta e penna e scritto al presidente del Consiglio.



Il messaggio è pressappoco simile per tutti i mittenti: riaprire il prima possibile e in sicurezza per evitare il tracollo economico che deriva da più di due mesi di chiusura. Tra gli ultimi ad aver inviato una missiva a palazzo Chigi sono stati i responsabili della Scuola mosaicisti del Friuli di Spilimbergo che, in un appello firmato dagli istituti d’arte e mestiere italiani, hanno chiesto al premier di dare indicazioni sulla didattica delle accademie che basano il loro lavoro su laboratori pratici (e quindi più a rischio contagio).

Ma, cercando nell’archivio del nostro giornale, sono tanti gli appelli rivolti a Conte in questi due mesi e mezzo di lockdown. Tra le categorie più colpite ci sono quelle delle parrucchiere e delle estetiste. E da Udine ad Azzano, passando per Tricesimo, le titolari dei saloni di bellezza hanno raccolto le loro perplessità sulla mancata riapertura già dal 4 maggio. Non si lavora da inizi marzo ma sui banconi degli esercenti si accumulano in alte pile bollette, l’affitto da pagare, gli stipendi dei collaboratori (quelli che restano, almeno), la cassa integrazione che latita per molti.

E la frustrazione delle persone che, come abbiamo visto nei flashmob silenziosi nelle nostre piazze, diventa rabbia. E sconforto. Le stesse emozioni che descrive Ivan Bellina, artigiano disabile di Sacile costretto a vivere con 278 euro. In un video messaggio su Facebook, Ivan striglia tutta la classe politica a cui chiede un reale impegno: «L’assegno di 600 euro io non l’ho visto e soprattutto non sarà sufficiente a salvare la mia officina. Ho chiuso il negozio da febbraio – spiega – e non ho clienti. Ma devo pagare i fornitori, l’affitto, le tasse e le utenze».

C’è qualcuno che a Conte non ha indirizzato una lettera ma una denuncia, presentata ai carabinieri di Pordenone. Sei pagine nelle quali Cristiano Turchet ipotizza «l’attentato contro la Costituzione, l’abuso d’ufficio, violenza privata e qualsiasi altra ipotesi di reato ravvisabile nei fatti esposti» nei confronti del presidente del Consiglio.

Gli appelli diretti a Roma sono arrivati anche dagli amministratori e dai presidenti di categoria. Primo tra i sindaci friulani è stato Pietro Fontanini che, dopo l’ultima conferenza stampa di Conte, ha chiesto al premier maggiore flessibilità per le riaperture. Accorato e simile pure l’appello arrivato dai primi cittadini del G20 delle spiagge che, in calce a una lettera firmata da 26 amministratori, hanno sottolineato la loro preoccupazione per gli oltre 8 mila posti di lavoro a rischio.

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