Le osterie fanno i conti: "Orari da ristorante? Si deve sopravvivere"

I titolari di alcune storiche attività udinesi rispondono a Enzo Driussi. «Con i taglietti di vino non si campa e nemmeno con chi gioca a carte»
Udine 5 Ottobre 2017. Osterie. © Petrussi Foto Press
Udine 5 Ottobre 2017. Osterie. © Petrussi Foto Press

I tempi cambiano, e così pure le osterie, dove ancora si respira aria di tradizione, nei quadri appesi, tra le pareti anni Sessanta e i tavolini rigorosamente in legno. Ma dove anche si deve, pur sempre, fare i conti con la concorrenza spietata di nuovi locali alla moda, non più solo “a marchio friulano”, e con il bilancio di fine giornata che risente della ristrettezza dei consumi.

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I tempi cambiano, e anche i clienti. Non più solo i settantenni che fra quattro raggi di briscola approfittano per bere il classico taglietto di vino, ma anche, e soprattutto, i lavoratori, dai 30 ai 60 anni, che consumano un pasto prima di rituffarsi tra le scartoffie degli uffici, oppure i giovani più abituati agli aperitivi a base di spritz e birrini.

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Udine 5 Ottobre 2017. Osterie. © Petrussi Foto Press


È la legge del mercato che impone questo cambiamento e lo sanno bene i titolari di questi storici locali che proprio per sopravvivere si sono adeguati offrendo diverse tipologie di cibi e servizi. Ecco quindi che la domanda provocatoria “Le osterie vogliono essere salvate?” fatta dall’ex presidente del Comitato, Enzo Driussi, che ha rimproverato alcuni gestori di adottare “orari da ristorante”, apparsa ieri sul nostro quotidiano, a più di qualcuno è apparsa «stonata e fuori luogo».

«Perché proprio per sopravvivere – dichiara Simone Lugano, proprietario dell’ “Hostaria Fari Vecjo” di Borgo Grazzano – ci siamo evoluti».

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Lugano ha rilevato il locale sette anni fa e ha provato sulla propria pelle «per un mese e mezzo – racconta – a tenere aperto tutto il pomeriggio. È stato un fallimento». «Tutti ormai devono sapere fare tutto – continua – . Comunque ben vengano queste discussioni, ma il Comitato che ci rappresenta dovrebbe convocarci e insieme organizzare eventi che uniscano le osterie di questa città».

Al “Canarino” in via Cussignacco la tradizione della briscola è ancora viva. Qui si lavora interrottamente dalle 8 alle 23. 30. «Fa parte del nostro tessuto storico» sorride il titolare Andrea Boel che lancia un’idea «contro chi si fregia di aprire un’osteria». «Per far parte della nostra categoria bisogna prendersi i gradi. Non si può concedere a tutti questo titolo». «Ci sono troppi osti improvvisati – aggiunge – che rovinano il nostro buon nome». Ma anche Boel è d’accordo su un punto: «Sui taglietti di vino non si campa e men che meno sui giocatori di carte».

Così la pensa anche Ennio Re dell’osteria “Al grappolo d’oro”. Nel suo locale tutto è rimasto intatto come 50 anni fa «ma – chiarisce – il cliente ha sempre ragione e bisogna a un certo punto ragionare in termini di azienda. Per vivere devi considerare anche quello che chiedono i giovani».

Giordano Floreancig dell’osteria “Al Fagiano” , quando lo incontriamo, sta servendo al tavolo due bicchieri di bianco e tre tartine al formaggio. È un tradizionalista ma, quando gli chiediamo quale è la ricetta giusta per “salvare le osterie”, ci risponde lapidario. «Esistono ancora le vere osterie? Secondo me sono morte 30 anni fa con l’introduzione delle patatine, dei salatini delle pizzette e dello spritz aperol. Oggi esiste il “wine bar”. A Udine pochi mantengono la vecchia tradizione che invece resiste a Trieste e a Venezia. Non ci sono più i clienti di una volta. Noi facciamo parte del passato».

Lazzaro Solero della “Ghiacciaia” e Loris Piccini dei “Barnabiti”, invece, sono due giovani osti e fanno i conti con il bilancio di fine mese. «Mantenere un dipendente dalle 13 alle 15 è una follia – . E poi viviamo in una società più individualista. Le osterie come luogo d’incontro resistono nei paesi piccoli dove la gente si conosce». «Non possiamo permetterci il lusso – ribadisce Piccini – di aver quattro avventori seduti al tavolo per quattro ore mentre consumano due tagli. Sono cambiate le abitudini. Inoltre, bisogna anche tener conto del fatto che fino alle 17.30 si vede poca gente in centro».

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