Le parole di Michele e le lettere dei lettori del Messaggero

In redazione sono giunte molte lettere: c'è chi esprime solidarietà, chi parla di indifferenza e chi cerca le cause del tremendo gesto nell'indifferenza o negli stessi giovani. Ecco una selezione dei messaggi

Qui pubblichiamo una serie di lettere inviate al Messaggero dai lettori sulla tragica vicenda di Michele

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Una sfida costante e difficile

Caro Michele, ti scrivo perché sono convinta che le mie parole possano arrivarti o possano parlare a chi – come noi – aveva e ha 30 anni. Sono una donna fortunata: ho un buon lavoro e una famiglia che mi sostiene in tutto ciò che faccio ma ciò nonostante molti pezzi della mia vita vanno a rotoli.

Ho un lato oscuro che è quello del “potrei essere di più”, “non sono all’altezza”, “non valgo nulla”, “ti invidio la vita”, “non ho nessuno che mi ami”. E ti scrivo perché il pensiero del tuo gesto estremo, in qualche misura, ha ingiustamente sfiorato molti nostri coetanei. Hai ragione, è un mondo difficile che a tratti fa schifo a tutti. Non ci si può identificare in una realtà in cui conta solo il successo, ciò che fai e che hai.

La sfida è costante. Tuttavia dopo anni di cura di me stessa ho capito che la vera sfida sta nell’accogliere. È un mondo che chiede costantemente presenza mentale e capacità di coltivare lo spazio interiore. Questo spazio è quello che permette di accogliere il bene e il male, il successo e l’insuccesso e che concede il lusso di saper di stare con loro. Solo così, cari trentenni, si può imparare a stare in questo mondo grande e difficile (cit).

Beatrice Magotti

La tragedia di Michele scuote le coscienze, le lettere dei lettori

Non cada nell'oblio

In questi giorni abbiamo assistito ad un tragico fatto: il suicidio di un trentenne udinese, stanco e sfiduciato nei confronti nella società in cui viviamo, accompagnato da una drammatica lettera d’addio in cui il giovane si sfoga e motiva il suo gesto estremo ma lucido.

Uno dei tanti esempi di “Generazione perduta”, dimenticata, sradicata e abbandonata. Domenica, durante la raccolta firme come “Movimento 9 Dicembre Libero” nella quale chiediamo al Comune di Pordenone di istituire un fondo anti suicidio-anti povertà, alle 18 metteremo in atto una piccola commemorazione in ricordo di Michele e di tutti coloro che hanno perso la speranza nel futuro.

La famiglia del ragazzo chiede che la lettera sia diffusa e che il suo gesto non cada nel dimenticatoio, ma che, invece, smuova le coscienze. Michele ha scritto: «Non posso passare il tempo a cercare di sopravvivere». Il Movimento 9 dicembre libero impegnato da anni a denunciare questo fenomeno, del suicidio come conseguenza di una cattiva gestione politica, non vuole che anche questa volta tutto rimanga inascoltato pertanto invitiamo tutta la cittadinanza a partecipare.

Alessandro Pisu

 

Siamo tutti responsabili

Per fortuna la lettera di Michele sta scuotendo l’Italia. Il motivo è semplice: ci sono dei colpevoli. Togliersi la vita, per me, è un atto incomprensibile, tuttavia sono certo che a quel ragazzo non mancavano la voglia di vivere e le capacità di fare. Ma qualcuno ha spento i suoi desideri, il suo entusiasmo.

I mandanti di questo atto terribile sono coloro che da decenni non pensano più alle necessità di un popolo, alla Nazione, coloro che starnazzano davanti alle telecamere e promettono un futuro che non esiste. Coloro che hanno prodotto il caos. Caos che non c’era dentro di lui. Aveva individuato bene le cose, Michele, lucidamente: non esistono riferimenti né valori. Sono stati cancellati.

Non c’è più un senso di futuro, di Patria, di appartenenza, di domani, non c’è più un motivo per andare avanti assieme, per lottare, non c’è più un senso delle cose. Tra pochi giorni questo momento emotivo finirà, come sempre accade, e tutto sarà come prima. Una vergogna! Le parole di Michele dovrebbero, invece, far sussultare tutti perché tutti siamo responsabili. C’era una volta un Paese, c’era una volta un futuro. Michele non deve essere morto invano.

Giovanni Cismondi

 

Formazione da rivedere

Sono un’insegnante e, credo come tutti, sono stata molto colpita dalla lettera di Michele, il ragazzo che si è suicidato in Friuli a causa della precarietà e della mancanza di lavoro.

Tra le cause che rendono così disperati i nostri giovani ci sono corsi e specializzazioni post laurea che rendono la stessa non più traguardo finale degli studi ma l’inizio di spese infinite che non tutti si possono permettere e che spesso servono solamente ad impinguare i già ottimi redditi di chi vi insegna.


Bisogna evidenziare questo problema generato dallo stesso sistema di formazione e che rinvia quasi alla mezza età la possibilità di inserimento stabile in un lavoro vero e proprio (vedi gli psicologi o gli insegnanti, per esempio). Si pretende di far sprecare ai ragazzi una parte della vita all’inseguimento di una meta che si sposta sempre più in là, senza assicurare loro nulla. Cosa che li avvilisce nel profondo, fino alle estreme conseguenze.

Maria Aldrigo

 

Nessuno ci ascolta

Mi chiamo Manuel, ho 31 anni. Purtroppo la stessa lettera che ho letto è sembrata parte integrante dei pensieri che quotidianamente mi attanagliano. Il fatto è che per quanto possiamo sentirci liberi e con le redini della vita nelle nostre mani, siamo una generazione frustrata dall’alienazione di una realtà marcia dove ci rispecchiamo avvelenandoci ogni giorno.

Qui non si parla solo di precariato, che già è frustrante, ma dell’intero contorno sociale. Viviamo immersi in bugie, dalla politica alla falsa vita sociale, dove ormai il disinteresse nella vita reale va a braccetto con la falsità della rete, dove le amicizie non esistono più, dove si è lasciati soli a se stessi.

Non è possibile a 30 non avere alternative, non essere indipendenti, con stipendi da fame, con spese mediche da sostenere, dove tutto è dovuto e nulla ci è dato se non mere illusioni. A 30 anni si vorrebbe iniziare ad assaggiare dei risultati invece si piega la testa alle circostanze. Lasciatemi anche dire che è falso buonismo dire “il rammarico di non aver intercettato il tuo malessere”. Nessuno avrebbe mosso un dito, nessuno gli avrebbe dato una chance. Siamo migliaia nelle stesse condizioni, ma chi ci ascolta mai?!

Manuel F.


La scuola sia stimolo

Il lavoro concede un’utilità a chi lo svolge direttamente, o un compenso a chi lo svolge per conto di altri. Il lavoro, perciò, dando un’utilità diretta o essendo compensato, concede alle persone che lo svolgono di vivere più o meno bene.

La mancanza del lavoro toglie alle persone tale possibilità, e le costringe a “vivere di espedienti”. Il lavoro è determinante per ogni essere umano. Il lavoro offerto dallo Stato per far funzionare il proprio sistema non può essere sufficiente per soddisfare le esigenze lavorative di tutti i cittadini, quindi il lavoro che deriva dalle attività indipendenti si dimostra molto importante.

Lavorare è una necessità primaria di ogni essere umano. Il lavoro indipendente dovrebbe essere “particolarmente apprezzato” dall’opinione pubblica per la grande utilità che comporta; in pratica, se mancano le attività indipendenti, manca anche il lavoro.

Ogni azienda che chiude, piccola o grande, è un danno per la comunità. Considerata l’importanza del lavoro indipendente, la scuola dovrebbe stimolare gli allievi anche a intraprendere tale percorso. Quindi, considerate le attitudini, dovrebbero essere illustrate tutte le nozioni necessarie.

Paolo Conz

Argomenti:lavoro

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