TREVISO. Chi pensava che la vicinanza della sede di adunata facesse “tagliare” agli alpini i giorni di soggiorno resterà deluso. Se è vero che molti hanno scelto di partecipare alla kermesse tra sabato e domenica, è altrettanto vero che altrettanti non hanno rinunciato alla tradizionale “vacanza” di almeno tre-quattro giorni.
È il caso, del Gufo, dell’Aquila, del Magro e, da quest’anno, del Valentino: inutile chiamarli coi nomi di battesimo, a Chions sono conosciuti così. Loro, a Treviso, sono arrivati mercoledì, portandosi il “gavettino” appresso, e torneranno a casa a sfilata conclusa. Tempi lunghi anche per il gruppo di Sevegliano Privano, della sezione di Palmanova.
Resteranno a Treviso sino a lunedì, il tempo di smontare l’accampamento. Denis e Gabriele Tosoratti fanno parte del coro sezionale, il primo è stato alpino a Cividale e, nel 2000, terzo ai Casta, per fondo, alpinistica, discesa e fucile. Ma lui, adesso, punta sul coro: «I bassi sono fondamentali, nel coro Ana Ardito Desio», suscitando le ire ironiche degli amici.
Il gruppo di Brugnera s’è sistemato in un capannone alle Fornaci Tognone. «Abbiamo urbanizzato un giardino. Sino a lunedì siamo autosufficienti» dice Alessio Colussi, alla guida di un’ottantina di penne nere in trasferta. «Ma Gianpietro Barbarotto è il motore delle nostre attività», puntualizza. E proprio in quel momento si leva un gran saluto, è quello degli alpini per il loro past president, Giovanni Gasparet. A proposito di volontariato, sottolineano la mission silenziosa degli alpini anche dal gruppo di Cordovado. Firminio Vicentin, già a Treviso nel 1994, dice: «È un corpo che non chiede niente a nessuno, ma è sempre al servizio di tutti. Peccato che abbiano abolito la naia, sei mesi di disciplina sarebbero stati bene, ai giovani di oggi».
C’è quindi un nutrito, anzi compatto, gruppo di alpini, che partecipa alle adunate non solo per incontrare gli amici di naia, per rinnovare un patto con il corpo, per ricordare caduti e coloro che sono andati avanti, ma anche per “urlare”, in maniera educata, di ripristinare il servizio militare o qualcosa di simile. Cristian Rucchin, 36 anni, è uno degli ultimi arruolati, a Drenchia: «Il servizio militare mi è servito – scandisce – e servirebbe ancora oggi, almeno per sei mesi».
I gruppi di Drenchia e Grimacco – che appartengono alla sezione di Cividale e vantano reduci come Pietro Trusgnach, Umberto Cicicoi e Rendo Clodice – il 28 maggio commemoreranno il primo caduto della Grande guerra, Riccardo Di Giusto. «Speriamo che un po’di naia ritorni», dicono anche i fratelli Elvio ed Enzo Nocent, di Valvasone: «Un po’di disciplina serve, eccome».
Enzo è decorato di medaglia d’argento al valor civile: con un maresciallo dell’Esercito, di Arzene, nel 1970 aveva salvato due persone da morte certa: erano cadute in un pozzo di gas vicino alla latteria. «Stavo passando col furgone della frutta e una donna mi chiese aiuto». «Altro che, anche i giovani di oggi dovrebbero fare la naia», dice Walter Spiz, del gruppo di Paularo, il cui motto è “Non semplici friulani, ma veri e puri carnici”. A Treviso sono giunti con una spedizione di fans che durante la sfilata hanno fatto il tifo con tanto di bandierine. «Siamo i seguaci – aggiungono – della portatrice carnica Maria Mentil Plozner».
L’adunata è anche occasione per stringere amicizie, per scoprire legami tra territori che altrimenti mai emergerebbero. Stefano Strambi è di Pianzano e a Treviso ha allestito una frasca con le campane tibetane, che altro non sono che bottiglie vuote.
Ebbene, cosa c’entra col Friuli? Lo “svela” ad Emilio Faè, 41enne di Pordenone. «Ho lavorato per quasi trent’anni alla Elettronica Zanussi di Vallenoncello poi divenuta Seleco. Ci entrai come stagista, frequentando la scuola nella vostra città, e mi assunsero. Pordenone era un polo elettronico di prim’ordine». Ascolta interessato anche Raimond Young, 39 anni, di Aviano che, a dispetto del nome, è italianissimo: «Infatti, entrato in caserma a Tolmezzo mi chiesero se ero cinese...».
Un po’di sana goliardia. Come la simpatica diatriba tra Loreno Cocetta e Claudio Missoni, del gruppo di Bicinicco. Il primo era conducente, il secondo conduttore. Ecco, gli alpini avranno già sorriso: il primo guidava muli, il secondo mezzi motorizzati. «Siamo l’antico e il moderno, la jeep a pelo e quella di ferro». Simpatica rievocazione del passato, un po’di nostalgia: «Eh, era dura a Tolmezzo, alla Tana del lupo di Ugovizza, a Pontebba... ma era anche bello. Una bella esperienza che, crediamo, molto spesso si apprezza col tempo». Un altro motivo per esserci, all’adunata.
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