L’esperienza di don Dino tra case distrutte e gente disperata

«Quel giorno di maggio faceva un caldo inconsueto, le rondini volavano a bassa quota; da qualche tempo gli animali che poggiando le quattro zampe a terra avvertivano prima e meglio dell’uomo le oscillazioni del terreno, si mostravano irrequieti, forse segnalavano l’imminente movimento tellurico».
A quarant’anni da 1976, l’epopea del sisma si arricchisce della testimonianza di don Dino Pezzetta, 78 anni, negli ultimi 50 sacerdote, insegnante e autore di diversi testi di teologia, che mercoledì, alle 18, a Osoppo, presenterà il libro “Terrae Motus 1976 - 2016”, Olmis edizioni.
Sono 120 pagine in cui il prete osoppano ripercorre le sue memorie, a partire proprio da quei giorni di maggio del 1976: «All’epoca - racconta don Dino - vivevo a Milano e in quel preciso momento stavo studiando per qualche mese a Vienna. Avevo deciso di passare per casa a Osoppo per festeggiare in famiglia il mio compleanno che compio il 5 maggio. Ero arrivato qualche giorno prima e la notte del 6, le scosse ci colsero quando eravamo in casa».
Fu proprio quella catastrofe piombata improvvisamente nell’abitazione di via Andervolti, quella in cui ci furono più vittime a Osoppo, a determinare decisamente il corso della vita di don Dino che in seguito è stato parroco di Peonis e Braulins, Villalta, Oleis-Rosazzo (dove è stato rettore della celebre Abbazia), e infine Montenars: «A quei tempi - dice - avevo scelto Milano per vivere, attirato anche dall’aria di cambiamento che si respirava in quella città a partire dalla fine degli anni Sessanta. Ma dopo quella notte mi sono chiesto: con quale coraggio, me ne torno a Milano a studiare lasciando qui questa tragedia?».

Il racconto di don Dino parte proprio da quella notte, da quella immensa polvere che si era alzata nell’aria e che per diverse settimane e mesi dovette respirare, dai primi interventi fra «gente smarrita, persone ancora intrappolate nelle case», per arrivare alla conta dei primi cadaveri, l’arrivo dei soccorritori da ogni dove, e la successiva vita in tendopoli.
Il prete ricorda quei giorni fra le tende nel Rivellino, dove si era ricostruita tutta la comunità osoppana, con le sue virtù e le sue problematiche le quali, vivendo spalla contro spalla, venivano ancora più facilmente a galla.
Nel raccontare quegli eventi, il sacerdote osoppano riporta i momenti importanti e allo stesso tempo non nasconde le debolezze della sua comunità, quella friulana, ma sa trarre grandi insegnamenti da quell’esperienza: «Se ci fossimo trasferiti in altri paesi e città, ci saremmo sicuramente risparmiati i tanti disagi della vita in tenda, e le difficoltà di una convivenza spesso insopportabile. Ma saremo rimasti tagliati fuori da una “vita in presa diretta”, con informazioni di prima mano, progetti per il futuro, battaglie, sogni, impegni concreti».
Quella tendopoli osoppana, tra le mille difficoltà del momento, fu comunque una comunità che discuteva e diceva la sua, e così si affrontò tanto la discussione sulla proposta di ricostruire i paesi terremotati a nord di Udine, tra i temi al centro del dibattito di allora, e tanto la possibile realizzazione di una base militare fra i boschi di Osoppo, che portò a una mobilitazione conclusasi con il «no» definitivo nel 1981: «Fu in quel momento - continua don Dino - che capii che avremo ricostruito il paese.
Una comunità che con quell’unità di intenti diceva la sua, era anche in grado di portare a termine l’enorme mole di lavoro che aveva davanti». Ma per don Dino non ci fu solo la determinazione e la forza popolare di scegliere il futuro di una comunità a cui l’attuale ricostruzione completata ha dato ragione, ma anche la presenza di punti di riferimento fondamentali: «L’onorevole Giuseppe Zamberletti - prosegue - rappresentò lo Stato, un uomo che sapeva infondere coraggio a tutti e che faceva visita alle comunità, mettendosi in ascolto.
L’arcivescovo Alfredo Battisti fu invece la vera guida spirituale, che seppe farsi pastore di quel popolo in difficoltà».
Nel suo libro don Dino ricorda a tal proposito la visita di monsignor Battisti a Peonis il 6 maggio 1986, dieci anni dopo: «Fummo colpiti da quella scelta - racconta don Dino - perché pensavamo che sarebbe andato a Gemona oppure a Venzone e non in quella piccola comunità. Ricordo che facemmo montare una grande tenda e tutti poterono venire, ci fu tantissima gente».
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