L'ex sindaco di Nimis: «Andavamo dietro agli alberi per evitare i massi della Bernadia»

Mattiuzza, primo cittadino nell'anno del terremoto, ricorda il terrore delle frane a Ramandolo: «In piazza vidi un’onda apocalittica, le case erano tutte distrutte»

NIMIS. «A Nimis quella sera sembrava l’Apocalisse. E a Ramandolo, anche nei giorni successivi, la gente si nascondeva dietro agli alberi per schivare i massi che cadevano dal monte Bernadia». Le parole dell’ex sindaco, Giovanni Mattiuzza, rimasto in carica dal 1973 al 1990, riassumono l’immagine che il primo cittadino si trovò di fronte quando uscì dalla sala giunta dove avvertì la prima scossa e, a differenza di qualche collega, minimizzò.

«In piazza allestivano i chioschi per la festa del vino in programma la domenica successiva, vidi un’onda apocalittica» continua Mattiuzza ricordando il terrore di quei momenti quando il pensiero di tutti gli assessori andò alle famiglie. Una corsa a casa e poi di nuovo in municipio, fu una notte di apprensione.

«Contattai la prefettura, “controllate, sorvegliate, aspettiamo” fu la risposta». E così, non avendo morti e feriti gravi, agli amministratori di Nimis non restò molto da fare se non tranquillizzare la gente preoccupata per le notizie che rimbalzavano dalla zona terremotata.

Alle prime luci dell’alba i segni della distruzione erano sotto gli occhi di tutti. Molte le case crollate, altrettante quelle sventrate. Le famiglie cercavano i segni del loro passato tra i cumuli delle macerie. Iniziò il giro di ricognizione. Da Chialminis il sindaco si spostò a Torlano, Valle Montana, Monte Prato e Cergneu.

Il peggio lo vide a Ramandolo. «Oltre al terremoto c’era il problema degli enormi massi che continuavano a cadere dal monte Bernadia. La strada era piena di sassi - continua l’ex sindaco -, e anche noi arrivammo a fatica. In una casa un masso era arrivato in bagno. C’era un rumore assordante, i massi creavano un senso di panico che solo chi era lì può capire».

Ramandolo era e resta terra di vigneti. Risolvere il problema delle frane era urgente: «Dal punto di vista geologico le condizioni erano favorevoli e ci consentirono di ricostruire le case dov’erano. Dovevamo salvaguardare l’ambiente, non potevamo permetterci di perdere i vigneti. Tutelammo le case e le strade installando i paramassi». Gli interventi di consolidamento interessarono anche la zona di Torlano dove le frane compromettevano la stabilità del ponte.

A Faedis i danni erano ingenti. Le case andate a fuoco (il paese era stato incendiato dai cosacchi) durante la guerra si erano sbriciolate. «La gente aveva ricostruito recuperando anche alcuni parti delle murature incendiate e con il terremoto crollarono».

Il sindaco prese atto di tutto ciò e si recò nella caserma dei carabinieri a Tarcento, dagli uomini dell’Arma volle sapere come era stata organizzata la macchina dei soccorsi. Nel pomeriggio l’Esercito mise a disposizione anche del comune di Nimis un capitano incaricato di coordinare gli aiuti.

A rendere tutto più difficile fu la pioggia che, in quell’estate, continuava a cadere copiosa. «Il Comune acquistò rotoli e rotoli di teli di plastica e li distribuì nel piazzale davanti al municipio. Lo facevamo valutando la necessità delle famiglie. Quella - aggiunge Mattiuzza - fu la prima azione di pronto soccorso dopo il terremoto. Era indispensabile aiutare le famiglie a coprire ciò che restava nelle loro case».

Le tende non arrivarono subito a Nimis. «Nei giorni immediatamente successivi al 6 maggio, la gente dormiva ancora nelle auto o sui pianali dei trattori, all’aperto». Fu un’apposita commissione a stabilire a chi assegnare le tende.

Qualche mese dopo lo stesso procedimento fu adottato per l’assegnazione dei prefabbricati realizzati dal commissario speciale, Giuseppe Zamberletti, sui terreni espropriati dal Comune prima ancora che la regione approvasse le norme. «Utilizzammo la cosiddetta legge Napoli che consentiva agli enti di espropriare le aree, qualcuno si oppose, ma nessuno presentò ricorso» puntualizza l’ex sindaco ricordando che il cantiere venne affidato dal commissario all’impresa che lavorava sull’autostrada.

Il contenzioso, invece, non mancò tra Mariuzza e Zamberletti. «Mi aveva promesso un tipo di prefabbricato che non era quello che avevo ricevuto - racconta l’ex sindaco -, rassegnai le dimissioni, scoppiò un caso, e alcune ore dopo ci furono consegnate le casette giuste».

Quando tutto sembrava avviarsi verso la normalità, arrivò la scossa di settembre che costrinse la gente a trasferirsi nelle località balneari. Il terremoto di settembre spazzò via anche le ristrutturazioni già completate con la legge regionale 17 e aprì le porte alla filosofia antisismica. Seguirono le approvazioni dei piani particolareggiati per ricostruire le frazioni dov’erano.

 

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