Licenziata, il giudice la fa riassumere

FONTANAFREDDA. Dopo aver lavorato per undici anni come operaia alla ditta Arblu di Fontanafredda, nel 2010 si iscrive alla Fiom Cgil e da lì cominciano le discriminazioni nei suoi confronti.
Dopo tre sospensioni, a maggio 2012 viene licenziata, ma il 15 luglio scorso il giudice del lavoro Angelo Riccio Cobucci del Tribunale di Pordenone le ha dato ragione, dichiarando il licenziamento “nullo indipendentemente dalla motivazione addotta”, perché discriminatorio e illegittimo sia sotto il profilo sostanziale della carenza di giusta causa sia formale per violazione del contratto nazionale dei lavoratori. Il giudice di primo grado ha quindi condannato la ditta a reintegrare la lavoratrice, a corrisponderle tutte le mensilità maturate e a pagare le spese legali.
E’ la vittoria personale di Cristina De Fonzo, dal 1999 operaia alla Arblu, produttrice di box doccia, che nella sua battaglia è stata seguita da Gianluca Pitton della Fiom Cigil.
Un caso che fa scuola. «Questa sentenza – dice Pitton –, lungi dal rappresentare una vittoria definitiva trattandosi di un primo grado di giudizio, è comunque importante perché porta a galla un grave caso di discriminazione nei confronti di una lavoratrice non raro nelle nostre zone. Qui, in particolare, come rilevato dal giudice, c’erano tutti i presupposti per un licenziamento senza giusta causa».
De Fonzo ha scelto di iscriversi ad una organizzazione sindacale e da lì sono cominciati i suoi attriti con l’azienda. «Questo è tuttavia un diritto che la stessa Corte di cassazione ha riconosciuto in capo a ciascun lavoratore e che il datore di lavoro non può contestare».
Alla Arblu c’è una sessantina di lavoratori e nessuna rappresentanza sindacale. «I primi a cercare di entrare in azienda siamo stati noi della Fiom – fa sapere il sindacalista – in almeno altri due casi», che però si sono conclusi diversamente. Cristina De Fonzo è invece voluta andare fino in fondo, e non solo ha rafforzato il suo impegno in Fiom entrando a far parte del consiglio direttivo del sindacato, ma ha intentato causa al datore di lavoro.
«Dal giorno della mia iscrizione alla Fiom – riferisce la donna – ho subito una serie di contestazioni, rimproveri e controlli che ritenevo ingiustificati. Mi veniva ad esempio contestata l’assenza dal posto di lavoro, quando in realtà stavo utilizzando la mia pausa pranzo, o di avere cali di produttività, tra l’altro non dimostrati, quando mai prima di allora era successo».
E’ stata così sospesa per tre volte, dopo di che, come previsto dal contratto dei lavoratori, l’azienda l’ha licenziata. «Tuttavia, i provvedimenti disciplinari – rimarca Pitton – non possono essere dati a discrezione del datore, ma sono subordinati all’esistenza di un motivo grave, che nel caso della nostra assistita non si è mai verificato. Era evidente – conclude – che l’unica ragione di contrasto con l’azienda era la sua tessera sindacale».
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