L’incapacità di comprendere la crici della città-cantiere
MONFALCONE. Monfalcone è forse la città meno conosciuta e capita in regione. Eppure è un luogo strategico, importante, anche misterioso. La sua complessità riguarda tutti, non solamente chi abita lì.
Basta aver letto il recente libro sulla mafia a Nord Est per comprenderlo con dati di fatto sorprendenti e inquietanti. Una città cresciuta per sua natura attorno e grazie alla grande fabbrica (il cantiere navale) e a un sistema di integrazione che nei decenni ha messo insieme bisiachi, friulani, giuliani, istriani, meridionali (tantissimi pugliesi di Gallipoli, per esempio), adesso sembra alzare bandiera bianca davanti a una situazione arrivata al livello di guardia.
C’è un modello sociale a essere entrato in crisi e a richiedere misure adeguate ed efficaci, a favore di tutti quanti, italiani e stranieri, abitano sotto la Rocca. Problemi e temi che i cittadini affrontano più o meno in silenzio nella vita quotidiana, quella che traspare poco o niente nelle cronache, nei commenti, nelle analisi accademiche, ma che emergono invece in maniera implacabile e clamorosa quando si va a votare, siano consultazioni politiche o amministrative.
Anche per tali motivi Monfalcone sale sulla ribalta nella tornata elettorale di questo autunno proponendo profondi spunti di discussione e analisi, che vanno oltre la solita schermaglia tra avversari per la conquista dei posti.
Qui in ballo c’è ben altro, probabilmente una sorta di presa di coscienza ad ampio raggio con cui individuare provvedimenti urgenti e concreti. La vittoria del centrodestra, pur tenendo conto delle proporzioni della città bisiaca, può essere un po’ paragonata a quanto accadde a Bologna a fine anni Novanta quando la sinistra perse il Comune.
Di mezzo c’è una tradizione forte, convinta, che attraversa le generazioni. Le prime giunte nel secondo dopoguerra nacquero nel segno dei sindaci democristiani, con nomi rimasti nella storia cittadina, come Cuzzi, Romani, Versace. La svolta avvenne nel 1975 quando tutta l’Italia registrò l’avanzata delle giunte rosse.
A Monfalcone ciò avvenne sotto la guida del socialista Maiani, ma il vero radicamento cominciò negli anni Novanta con l’elezione diretta dei sindaci e la fase ebbe inizio con Adriano Persi, in carica per due mandati dal 1993 al 2001, seguito da Gianfranco Pizzolitto, che pure raddoppiò restando a Palazzo fino al 2011. Gli subentrò cinque anni fa Silvia Altran impostasi senza problemi con il 56% rispetto al 43% della sua avversaria, Anna Cisint, leader del centrodestra.
Che in un lustro il rapporto di forze si sia totalmente rovesciato è un fatto sensazionale per le dinamiche di piazza della Repubblica, anche perché la Altran subisce tutto questo non dal nuovo che avanza, tipo il Movimento grillino, ma da un centrodestra straconosciuto e che da quelle parti sembrava l’eterno subalterno.
Dunque, stesse formazioni, stessi nomi, stessi discorsi eccetera, che cos’è cambiato nel frattempo? Appunto è cambiata la città, nella sua anima, nel modo di essere società, nelle attese, nel suo ruolo quale luogo industriale. Di recente il mens. ile goriziano “Isonzo Soca” ha dedicato un numero speciale al caso monfalconese, indagando sulle trasformazioni del lavoro operaio e della produzione, processi che hanno inciso fortemente non solo dentro la fabbrica.
Ne esce il ritratto di una città che è anche riuscita a guadagnare con l’arrivo in massa di stranieri perché le case erano affittate a posto letto, così gli affitti lievitavano, facendo lavorare poi bar e negozi, senza contare le ditte in subappalto nel cantiere che lucravano sulle paghe basse.
Ma di questo passo, se (per fortuna) lo stabilimento navale non è stato delocalizzato, è però avvenuta una sorta di delocalizzazione in senso sociale della stessa Monfalcone, che ufficialmente conta 28 mila abitanti (dei quali circa il 20% di stranieri), ma che forse arrivano a 35 mila come attesterebbero i consumi di gas e acqua. Tutto questo mentre pesa ancora la tragica vicenda dell’amianto, sempre aperta nella fase giudiziaria, e incombe il progetto del nuovo rigassificatore.
Il ribaltone politico è certo una conseguenza di questi problemi, vissuti da famiglie in difficoltà economica come ovunque. Ne esce un’immagine di Monfalcone vista come pianeta a sé, rispetto a Gorizia, a Trieste, in genere a tutta la regione. Diversa con la sua storia specifica e unica.
Negli ultimi giorni di campagna elettorale, Silvia Altran è stata affiancata da vecchi leader della sinistra, come Adriano Persi, lo stesso che a Carnevale aveva scritto il testamento del sior Anzoleto, una sorta di coscienza critica della città, quello che prende in giro attraverso la satira i problemi più o meno nascosti, dandone la colpa alla “magnadora”, cioè la classe dirigente locale.
L’impegno diretto dell’ex sindaco, smessi i panni di Anzoleto, sta a significare che non c’è più spazio per baruffe o altro. Monfalcone che cambia pelle politicamente in questo modo rappresenta un segnale deciso. Fa capire a tutti (compreso chi ha vinto) che le città chiedono un destino diverso, vivibile, quale atto di fiducia e speranza.
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