L'incendio sul monte Jovet «L’errore? Non avere ascoltato gli anziani» - FOTO

Parla Enrico Marcon coordinatore della squadra volontari di Chiusaforte. In trincea per un mese: il bosco va conosciuto e rispettato come una volta

CHIUSAFORTE. “Le ploe lu a impiât; le ploe lu distudarà...”. (La pioggia lo ha acceso; la piogga lo spegnerà). Enrico Marcon ha 31 anni. Cita questo antico detto della Val Raccolana che racchiude una disarmante verità. È una persona semplice. Fa l’operaio. Vive a Chiusaforte. Ama la montagna. Dodici anni fa è entrato a fare parte della squadra comunale di Protezione civile e incendi boschivi.

Da cinque anni ne è diventato coordinatore. Crede in quello che fa. Dedica a quella mission gran parte del tempo libero. E, soprattutto, si fida degli anziani. Quelli – rivela con rammarico – che non sono stati ascoltati immediatamente dopo l’inizio dell’incendio del monte Jovet lo scorso 14 luglio . «Quelli - aggiunge – che avrebbero potuto fornire utili consigli, perché conoscono queste montagne come le loro tasche. Loro, le montagne le rispettano, ne conoscono i pericoli. E sanno come lo spopolamento le ha rese più selvatiche e incontrollabili. E quando scoppia un incendio come questo...».

Domenica pomeriggio, nella sua visita alla borgata di Piani di Qua, l’arcivescovo di Udine, monsignor Andrea Bruno Mazzocato si era intrattenuto con Antonio Martina, una delle persone più anziane, che gli aveva mostrato una foto della borgata del 1951. Bene, nessun albero era vicino alle case e il bosco era rintanato lassù, a una distanza di sicurezza a garanzia dell’incolumità delle persone e delle case.

«Oggi, invece – dice Enrico - ci sono due problemi: la vegetazione non è più controllata e quindi raggiunge gli abitati e il sottobosco raggiunge anche 40 centimetri di materiale. Ed è lì che i focolai hanno lavorato e lavorano. Perchè l’acqua non riesce a penetrare del tutto e, sotto, il fuoco continua a lavorare, avanza e magari si riaccende decine di metri più avanti».

Dall’alto – spiega – non è facile capire dove sono le fiamme. Ed è questo uno dei compiti dei volontari: indicare ai piloti dei Canadair e degli elicotteri dove si trovano esattamente le fiamme perché spesso il fumo non corrisponde all’incendio in atto. Ha il viso stanco, Enrico. Dal 14 luglio si è concesso 4 giorni di riposo. Il resto lo ha diviso tra fabbrica e bosco. Giorno e notte. E rimasto in piedi anche 36 ore consecutive. A Patocco lo hanno pressochè adottato. È uno dei tanti eroi di questo lungo mese. È stato uno dei volontari che è entrato nel bosco per creare uno sbarramento alle fiamme, pulendo il sentiero che ha fatto da frangi-fiamme: piccone, zappa e acqua. Alla fine i volontari di Chiusaforte ce l’hanno fatta.

Enrico esclude che l’incendio sia stato all’inizio sottovalutato. Dice: «La sottovalutazione è una parola che non si addice. No, non c’è stata sottovalutazione. Casomai, ma non ne sono certo, forse nei primi giorni dell’incendio c’erano pochi mezzi a disposizione. C’era un elicottero che faceva spola tra lo Jovet e Pietratagliata. Ma il perché non mi compete. Non so se hanno richiesto altri mezzi e non ce n’erano a disposizione. Credo sia inutile adesso pensare a questo problema. Il vero nodo è un altro».

E per Enrico, come per gli altri volontari che come lui conoscono e amano la montagna, un incendio di queste proporzioni è stato favorito da due fattori: le alte temperature unite alla siccità e al vento caldo che soffiava da Sud, Sud-Ovest e il sottobosco ormai incontrollato. «In questi casi – argomenta – fermare le fiamme diventa davvero un’impresa difficile.

E allora bisogna pensare al detto degli anziani sulla pioggia che fa e disfa». Quindi, a suo avviso, bene ha fatto il sindaco del suo paese, Luigi Marcon, ad annunciare un’ordinanza che impegnerà tutti i cittadini a tagliare le piante a una distanza di circa 150 metri dalle case, distanza che molti hanno già criticato forse perchè non hanno visto le foto degli anni Quaranta e Cinquanta. «Se ognuno - insiste – provvedesse a tagliare l’erba e a tenere le piante distanti dalle case, credo che gli incendi farebbero molta meno paura, come avveniva una volta. Ed è per questo, lo ripeto, che probabilmente l’unico errore è stato quello di non ascoltare le persone del luogo che avrebbero saputo indicare i posti esatti dove aspettare le fiamme per bloccarle. Loro, il bosco lo conoscono come le tasche. Lo rispettavano e lo rispettano. Lo ripeto, dall’alto non è facile capire dove lanciare l’acqua.

E non a caso i primi lanci hanno i traccianti che marcano il terreno con una scia rossa che teoricamente dovrebbe indicare il punto-confine invalicabile per le fiamme». Errori di Enrico? «Sì, la sera – conclude – che avendo visto altri focolai a Patocco, dopo avere lanciato l’allarme siamo partiti nel bosco. Giustamente il dirigente del Cf ci ha fatto poi notare che noi volontari durante la notte non siamo assicurati sul fronte del fuoco».

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