L'INTERVISTA - Giancarlo Buonocore: io, esodato giudiziario, ma in Friuli tornerò FOTO
TOLMEZZO. Sa essere spiritoso e auto-ironico Giancarlo Buonocore. E non soltanto perché l’accento napoletano gli è rimasto nonostante viva da 35 anni in Friuli. Venerdì ha “portato a casa” l’ultima vittoria secca in un processo ostico: a due carabinieri, tra quelli che fino a un attimo prima frequentavano il suo ufficio ogni giorno. L’ultimo processo di primo grado. L’ultima requisitoria
. Adesso alla Corte d’appello di Venezia sarà tutta un’altra musica. Torna al mare, Buonocore, definendosi (ecco spirito e ironia) un “esodato giudiziario”. In termini tecnici, un perdente posto. Tolmezzo chiude e lui, come procuratore, non ha scelta.
Cominciamo dalla fine. L’ultimo processo: ostico e...?
Delicato, perché coinvolgeva 2 appartenenti alle forze dell’ordine che rappresentano una parte della stessa istituzione che la stava processando. Quindi tale da sconcertare l’opinione pubblica perché in caso di proscioglimento c’era stata un’indagine incongrua, in caso di condanna dava conto della infedeltà di appartenenti alle forze dell’ordine.
Nel 2008 lasciava Udine dopo 29 anni da sostituto prima e da procuratore aggiunto poi. È di nuovo tempo di bilanci.
Ho vissuto qui un’esperienza gratificante, ho potuto mettere in pratica la mia personalissima idea di procura e cioè quella che definisco procura della porta aperta: non solo aperta a colleghi e collaboratori, ma anche agli avvocati e soprattutto al cittadino, cioè colui che amo dire, scherzando, ma neanche troppo, se paga le tasse, mi paga lo stipendio. Ovvero, dare la possibilità di interloquire direttamente col magistrato, nei limiti del possibile, senza percepire un ufficio di procura come un qualcosa di irraggiungibile o peggio idoneo solo a incutere timore, anche nei confronti del cittadino.
Stringa...
Questo necessita ovviamente di alcuni elementi come colleghi e collaboratori che condividano questa impostazione, di un Foro corretto e di una dimensione umana e territoriale che si presta a questa lettura organizzativa.
Tolmezzo, la Carnia, la montagna: che lezione ha avuto qui?
Di persone che, al di là del luogo comune che li vuole freddi, distaccati e prevenuti nei confronti di chi non sia originario del posto, hanno poi la capacità umana di accoglierti, al di là di una retorica di maniera e senza valorizzare principalmente la carica istituzionale che ricopri. Se posso permettermi una nota personale, perfino la mia vicina di casa, che è la proprietaria dell’appartamento che ho in affitto, mi ha dato ogni disponibilità a venirmi incontro per non troncare traumaticamente il rapporto umano e affettivo con la città.
La Giustizia funziona anche in zone come questa?
Non voglio essere presuntuoso, ma direi che funziona meglio di altre zone, anche perché l’affidamento nei confronti dell’istituzione è più forte che altrove e quindi c’è una apertura di credito, sia pure non immediata, nei confronti di un servizio delicato come quello della giustizia. Ovviamente questo prescinde da meriti personali, ma ritengo sia stata quanto meno non ostacolata e ritardata dal mio modo di concepire l’ufficio requirente.
Lei perde il posto, la montagna molto di più però.
Se è vero che il biglietto da visita metaforico di un moderno Stato si articola attraverso tre servizi essenziali quali sanità, giustizia e istruzione, perdere il contatto immediato con uno di questi servizi è pregiudizievole. A questo si aggiunga, elemento non indifferente in un periodo di crisi, tutto l’indotto economico e sociale che la presenza di un tribunale comporta. Forse tale realtà non è stata immediatamente percepita da chi ha ostinatamente voluto questa cancellazione.
Il suo parere personale su questa riforma?
Credo di poter dare un parere scevro da sospetti, di una qualche utilità o ritorno personale: è fortemente negativo non solo perché manca qualsiasi risparmio, anzi, ma anche perché la paventata ottimizzazione del servizio si scontra con dati evidenti come quelli delle enormi distanze che precluderanno per molti cittadini l’accesso a un servizio essenziale. È inutile continuare a dire che in 40 minuti da Tolmezzo si raggiunge Udine quando da buona parte del territorio, da Forni di Sopra a Tarvisio, questa distanza diventa più che doppia. E non parlo solo del penale, ma di procedimenti civili o di volontaria giurisdizione.
Ha visto politici, li ha arrestati, ha passato in sella alla procura tutta la Tangentopoli friulana. Un ricordo e un giudizio.
Ricordo di una esperienza umana sempre di spessore. Perché una persona che è abituata a un contesto di vita sociale diverso da quello che è proprio di una altro tipo di delinquenza, segnatamente quella organizzata, e che si trova in carcere, dà la percezione di un soggetto completamente indifeso. Questo mi ha indotto a rafforzare un mio costume di vita e professionale e cioè di trattare sempre col massimo rispetto per l’uomo chi pure io ritenga responsabile di reati gravissimi e per i quali ho determinato l’ingresso in carcere o una condanna molto pesante. Penso alla collaborazione con il compianto dottor Caruso che mi conferì un’ampia delega con un affidamento molto gratificante sulle strategie da adottare nell’individuazione degli specifici filoni di indagine.
È azzardato dire che i rimborsi spese “gonfiati” dei politici di oggi possono essere paragonati, moralmente, a una tangente?
Giudizi morali mal si conciliano con il mio mestiere. Probabilmente dal punto di vista etico sì, quanto meno nella percezione del cittadino. Però mi sembrerebbe azzardato fare affermazioni del genere.
È mai stato tradito da qualcuno al quale ha offerto un trattamento particolare per aver collaborato?
Normalmente il rapporto è invertito: prima si dà la collaborazione, dopo si ottiene il beneficio. Devo dire però che ho sempre avuto difficoltà a gestire in senso ampio le collaborazioni in tema di reati contro la pubblica amministrazione e quelle in tema di criminalità comune. Per la particolare vischiosità di alcuni atteggiamenti che, partiti come collaborativi, viravano verso un progressivo sfumare del contenuto e della portata delle originarie dichiarazioni, magari per riequilibri e riassestamenti di contesti politici.
Se fosse ministro della Giustizia, quale sarebbe la sua prima mossa?
Partire dal presupposto che occorre sedersi a un tavolo senza lanciare anatemi o scomuniche più o meno personali, e individuare, responsabilizzando le categorie interessate, soluzioni concrete, a partire dalla rivisitazione delle norme in tema di notifica e facendo capire che se i soldi vanno spesi con oculatezza non si può coniugare sempre il verbo risparmio quando si parla di un servizio. Quindi piuttosto che fare il muro contro muro tra potere politico, magistratura e avvocatura, invitare tutti a fare un passo avanti a cominciare dalla circostanza, per esempio, che il difensore di fiducia deve diventare l’unico interlocutore dell’autorità giudiziaria quanto a notifiche, comunicazioni, depositi e quant’altro. Aggiungo che la micro-filmatura, l’accesso telematico dei legali ai fascicoli sgravando segreterie e cancellerie dall’attività di contatto quotidiano con gli avvocati. Poi, verificare l’opportunità di una congrua depenalizzazione che renda, questa sì, economica l’attivazione di un processo per infliggere una pena infinitamente inferiore al costo del processo stesso.
Come vede il fatto di andare in una repubblica marinara lei che ad Amalfi, diciamo così, ci poteva andare in bici da ragazzo?
Potrebbe essere una sorta di ritorno all’infanzia. Un cerchio della vita che si chiude, essendosi aperto in riva al mare, professionalmente in riva a un altro mare. L’odore del mare e della canapa consumata dall’acqua salmastra e dallo strofinio contro la bitta è qualcosa che ti rimane dentro ed è tutt’altro che sgradevole ritrovarlo. Anzi.
Al processo di venerdì sia lei che i difensori vi siete signorilmente chiariti sull’eterna sfida tra polizia e carabinieri. Colpi di fioretto, ma andati a segno. Ha detto tutto?
Mi auguro di essere stato chiaro. Ho detto tutto perché, come ho cercato di far presente, è giusto che la procura, che non ha un compito obbligato, cioè quello di chiedere sempre la condanna, sia estremamente trasparente, dando atto che la richiesta di condanna è ineluttabile rispetto alla propria lettura delle carte processuali.
Perché non l’ha mai sfiorata l’idea di fare il giudice?
Anche qui, se è lecito fare un accenno personale, mi è sempre piaciuto innanzi tutto parlare più che scrivere. Mi racconta mia madre che mi sorprendeva da piccolo davanti a uno specchio in casa ad arringare immaginarie folle per cercare di convincerle chissà mai di cosa. E poi c’è l’idea di cercare, per quello che è possibile, la verità, costruendo in questa sorta di percorso senza preclusioni o condizionamenti di sorta. Come dire: una attualizzazione della curiosità evidentemente in me è geneticamente sviluppata.
Uno dei suoi maestri, l’ex procuratore Tosel, prese il primo treno per la pensione e da anni è là a decidere quante giornate “dare” a Cassano o Balotelli. Le piacerebbe?
Forse in un futuro che mi illudo sia lontano, sì. Ma devo dire, per stare alla metafora calcistica, che sono come quei ragazzini che vanno a vedere i grandi derby ed escono dallo stadio con il desiderio, magari infantile, di poter giocare una di quelle partite e che un giorno sono chiamati per vedersi consegnare una di quelle maglie. Questa mi sembra ancora, dopo 35 anni, la realizzazione quotidiana di un sogno che può apparire espressione di retorica di circostanza, ma che non lo è, e mi dà un entusiasmo che mi fa sentire, compatibilmente con gli anni, assai poco la fatica del lavoro.
Tutti le riconoscono alte capacità oratorie ai processi. Le piace più indagare o vincere sul campo in dibattimento?
La fase delle indagini è assolutamente insostituibile, mentre quella dell'oratoria può essere anche in qualche modo veicolata in altre sedi. Devo dire però che l’una senza l’altra mi farebbero sentire un po’ monco. Aggiungo che anche da procuratore, nel programmare il lavoro, ho sempre chiesto di poter fare delle udienze. Allo stupore di chi mi chiedesse perché, anche da procuratore, preferissi non sottrarmi a questo aspetto della professione, ho fatto presente che un Pm che non va in udienza è come un chirurgo primario che non entra più in sala operatoria. E questo mi torna assai utile per la prossima esperienza professionale che si concreterà essenzialmente nel sostenere l’accusa in dibattimento.
Se il suo figlio avvocato non lascerà Udine per esercitare la professione, lei non potrà mai tornare qui da procuratore. Le dispiace?
Un po’ sì perché sono legato alla città, professionalmente, affettivamente ed emotivamente, ma questo non impedirà un mio rientro in Friuli in altre sedi giudiziarie. Però non vedo solo aspetti negativi perché vado a esercitare attività in una delle più prestigiose Corti d’appello d’Italia. Quindi la sfida, che un po’ mi dà ansia, mi stimola anche e il rinnovamento professionale in qualche modo aiuta a superare la lontananza.
Domanda di sport. Come dice Marzullo, se la faccia e si dia una risposta: scelga lei.
Mi chiedo se la vendita di Cavani sia fruttuosa per la società e per la città e mi rispondo positivamente, un po’ perché il tifoso napoletano è un amante gelosissimo che non tollera il minimo sospetto di tradimento, un po’ perché servirà a rinnovare l’assetto tattico della squadra con l’innesto, mi auguro, di più giocatori in cambio della somma e dare un assetto più europeista alla squadra.
Riproduzione riservata © Messaggero Veneto