Lirussi pentito al pm: «Ho ucciso per un raptus»
Iterrogato l’ex assicuratore di Latisana indagato per l'omicidio di Eufemia Rossi. Da sabato si trova nel carcere di Udine. Il difensore: «Non si dà giustificazione».
UDINE. È pentito e non prova neppure a discolparsi. Perchè quello che ha fatto alla sua amata compagna, continua a ripetere, non ha alcuna giustificazione. E così, a oltre due mesi dalla confessione resa davanti al pm veneziano Massimo Michelozzi, al quale, per primo, il caso era stato assegnato, la versione di Gianni Lirussi, il 65enne ex assicuratore di Pozzuolo indagato per l’omicidio della convivente 56enne Eufemia Rossi, la barista latisanese trovata morta, con la testa sfondata, lo scorso 2 aprile, lungo il canale Cavrato, a San Michele al Tagliamento, non cambia.
Interrogato lunedì dal sostituto procuratore di Udine, Maria Caterina Pace, subentrata nella titolarità delle indagini al collega veneziano, dopo la trasmissione degli atti, per competenza - il delitto è stato consumato nel garage dell’abitazione di Latisana, in via Percoto, dove la coppia abitava -, alla Procura del capoluogo friulano, Lirussi ha dunque fornito una ricostruzione sostanzialmente invariata rispetto a quella tratteggiata lo scorso 20 aprile. A mutare, come ha spiegato il suo difensore, avvocato Daniela Lizzi, è soltanto la lucidità dell’indagato.
«I ricordi cominciano a sfumare - ha detto il legale -, ma la sostanza resta la stessa: Lirussi non ha mai ritrattato la confessione iniziale». E cioè, che a spingerlo a uccidere la compagna fu «un raptus di rabbia». Una reazione violenta, al termine di un litigio, nel corso del quale la donna lo avrebbe apostrofato, rinfacciandogli di essere un fannullone. «Anche questa volta - continua l’avvocato Lizzi -, il mio cliente ha ripetuto di avere agito al colmo dell’esasperazione». Una ricostruzione, insomma, che consentirebbe alla difesa di giocare la carta della preterintenzionalità, ma che non combacia con l’ipotesi formulata dai carabinieri del Ris di Parma, secondo cui la barista sarebbe stata finita con un colpo al capo, inferto con un oggetto contundente mai trovato.
«Di questo - afferma il difensore -, il mio assistito non parla: non ricorda di avere adoperato alcuna arma. D’altronde, sul punto non esistono riscontri: la vittima potrebbe avere sbattuto, cadendo, contro qualsiasi oggetto o mobile già presente nel garage». Una cosa è certa: per quella lite e, soprattutto, per quel che ne è seguito, Lirussi - che sabato è stato trasferito dal carcere di Venezia a quello di Udine - non si dà pace. «E’ prostrato - conferma il legale - e vuole pagare per ciò che ha fatto, senza sconti di pena». Attenuazioni che, al contrario, il difensore spera di trovare nell’esito della perizia medico-legale che il pm ha affidato all’anatomopatologo Antonello Cirnelli e della perizia psichiatrica, della quale è stato incaricato invece il consulente di parte, dottor Vincenzo De Leo. Il deposito delle consulenze è atteso per i primi giorni di luglio.
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