Lo sfogo di due coniugi: «Traditi da CoopCa, in fumo 105 mila euro. E dire che credevamo nel rigore carnico»
TOLMEZZO. «Ci eravamo appena risollevati e volevamo investire i soldi recuperati dalla truffa di cui eravamo stati vittime in un posto sicuro. E così pensammo a CoopCa. Convinti che una cooperativa potesse darci le garanzie che cercavamo.
Anche perché quella non era una società qualsiasi: oltre cent’anni di storia e un territorio, la Carnia, abitato da gente robusta, testarda, quadrata, rigorosa. Magari ci ricaviamo anche qualcosa in termini di interesse, mi dissi. Sai mai che non tornino utili un domani».
Invece degli interessi, di lì a qualche anno, la famiglia Fabris si ritrovò con un pugno di mosche in mano. E da San Giuseppe, frazione di Cassola, dove Adriano e sua moglie Natalina Zonta risiedono, a due passi da Bassano del Grappa, anche la montagna friulana cessò di apparire incondizionatamente affidabile.
Le loro testimonianze si sono aggiunte, martedì, alle altre drammatiche storie raccolte nel processo in corso davanti al tribunale collegiale di Udine nei confronti degli ex vertici di CoopCa accusati a vario titolo di bancarotta, abusiva attività di raccolta del risparmio e truffa.
Parole vibranti anche le loro, che per essere presenti in aula alle 9, date le condizioni di salute di Natalina, invalida al cento per cento e 84enne, si erano messi in auto già prima dell’alba. «Non avevamo il benché minimo sospetto che la cooperativa stesse traballando – racconta Adriano, che di anni ne ha 83 –. Anzi, dal bollettino che ricevevamo sembrava che le cose andassero bene.
Tanto che decidemmo di investire lì i 25 mila euro di risarcimento ottenuti dalla banca di cui eravamo stati a lungo correntisti e che aveva finito per pagare le colpe di un suo dipendente per le perdite causate al nostro patrimonio».
La prima batosta economica e la relativa delusione umana, per i Fabris, era arrivata proprio dal consulente finanziario nel quale avevano riposto soldi e fiducia. I rapporti con CoopCa, però, erano cominciati alcuni anni prima.
«Siamo diventati soci quando la società acquistò un supermercato a Cassola – ricorda Fabris –. Lo facemmo un po’ malvolentieri, visto il benservito che CoopCa aveva dato a nostro figlio Luca nel 2005, licenziandolo dopo sei mesi di servizio nel supermercato di Rosà, senza rinnovo per il successivo semestre. Ma mangiare si doveva e quello era un negozio vicino a casa. Così, ci iscrivemmo e per aprire i libretti acquistammo un’azione di 26 euro».
Tra depositi e azioni, con il fallimento di CoopCa, i coniugi Fabris hanno visto volatilizzarsi 105 mila euro. Non poco per un’infermiera e un falegname in pensione, tanto più con un figlio che a 55 anni è disoccupato e che nel crac ha perso a sua volta circa 30 mila euro.
Soldi che, forse, neppure il processo, nel quale si sono costituiti parte civile con l’avvocato Gianberto Zilli, riuscirà a restituire loro. E intanto il tempo passa.
«Quando la gente non è capace di gestire i tuoi soldi, c’è poco da processare. Quante altre storie bisognerà sentire, per capire com’è andata?», la sconsolata conclusione del capofamiglia.
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