Lo sfogo di Fazioli: due anni per l’ok alla nuova fabbrica

SACILE. Più 15 per cento di produzione e 10 nuovi dipendenti. In un solo anno. Il segreto della Pianoforti Fazioli di Sacile è probabilmente essere guidata da un imprenditore lungimirante, Paolo Fazioli. Un imprenditore che ha scelto di non delocalizzare nonostante tasse e burocrazia, perché sa che «i miei collaboratori non mi seguirebbero. Siamo tutti legati a questo territorio – spiega –, viviamo vicino alla fabbrica, ci piace il cibo, il vino, le relazioni umane che abbiamo creato tra di noi. Se me ne andassi, sarebbe considerato un tradimento. E dunque resto, anche se le tasse continuano ad aumentare».
E poi c’è il legno della Val di Fiemme, indispensabile prima per i grandi liutai italiani (anche per Stradivari) e oggi per i pianoforti di Fazioli. Un’impresa messa in piedi da zero. Con artigiani e tecnici che lo stesso imprenditore (appassionato di musica) ha formato. «Oltre alle difficoltà commerciali dovevo vincere lo scetticismo – ricorda Fazioli –: i tuoi pianoforti suonano bene, mi dicevano, ma fra cinque o dieci anni saranno ancora solidi? E invece il tempo passava e la fiducia cresceva. Soprattutto fra gli artisti, di cui ascolto sempre le critiche: non devi mai pensare a uno strumento, anche al migliore, come a un prodotto da fotocopiare».
Esportazioni in tutto il mondo caratterizzano il portafoglio clienti dell’azienda di Sacile: Austria Germania, Inghilterra, per restare in Europa, e poi Polonia, Ucraina, Russia. Ma anche Cina, Corea del Sud, Thailandia e, ovviamente, Stati Uniti, Canada, Brasile e Cile. Il prezzo di un pianoforte Fazioli oscilla fra i 60 e i 140 mila euro. Nel 2015 la produzione crescerà ancora. Da 130 a 150 strumenti l’anno, ma l’azienda non riuscirà comunque a soddisfare tutte le richieste. L’aumento della produzione era subordinato alla costruzione di un nuovo padiglione da 3 mila 600 metri quadrati.
«Sono serviti due anni per ottenere tutti i permessi necessari – ha detto Fazioli in un’intervista a La Stampa –. Le ho tentate tutte: ho urlato, implorato, fatto la spola tra Comune, Provincia e Regione. Una vergogna. Quattro mesi soltanto per l’autorizzazione dei Vigili del fuoco. E poi ha saputo che per tre mesi la mia pratica era rimasta nei cassetti. Ti chiedi perché di certi comportamenti. Poi, quando per dare un euro pulito a un tuo dipendente ne spendi tre, capisci quanto in questo Paese sia diventato impossibile lavorare».
Riproduzione riservata © Messaggero Veneto