L'omicidio di San Giovanni, angherie e violenze di un padre-padrone FOTO 1 - 2 / VIDEO

Insulti e intemperanze, eppure tutta la comunità locale è rimasta allibita. Tre anni fa l’uomo aveva minacciato la donna di portare le figlie in Albania

SAN GIOVANNI AL NATISONE. Un’altra vittima. Un altro femminicidio consumato tra le mura domestiche. Un’altra orribile storia faticosa da ascoltare, difficile a scrivere. Un’altra famiglia frantumatasi dopo l’ennesima follia omicida di un uomo, nella fattispecie marito. Lui è un muratore albanese, originario di Valona. Si chiama Lulzim Hadai, 36 anni. Un padre-padrone, dice ora il cognato, imbevuto dalla peggiore cultura maschilista che lo accredita come una sorta di “padreterno” talché moglie e figli sono “roba” sua. È arrivato a San Giovanni al Natisone diversi anni fa, ma dopo sua moglie Irma Hada 32 anni, pure albanese, assassinata l’altra sera di fronte alle figlie dopo una mattanza a colpi di coltello.

Il padre-padrone. Un despota, Lulzim Hadai. Aveva già alzato le mani su sua moglie. Le aveva già usato violenza. Tre anni fa dopo una sfuriata contro di lei, era improvvisamente fuggito in Albania. Sembrava lo strappo definitivo e necessario per porre fine a una relazione che andava sepolta. Lei aveva avviato le pratiche per la separazione. Ma lui era tornato alla carica ed era ricomparso a San Giovanni, minacciando la moglie di portarsi le figlie in Albania. Un ricatto odioso. Da despota, appunto. «Forse era geloso allora. Forse lo era anche in questi giorni...», insinua un uomo seduto al bar “Zodiaco”, inerpicandosi lungo un improbabile e goffo giustificazionismo.

Angherie e ricatti. La titolare, Barbara, conferma che la donna quando abitava poco distante dal bar era stata costretta ad andarsene da casa per non subire altre angherie. Eppure, tutto pareva si fosse normalizzato negli ultimi due-tre anni. La donna aveva ceduto al ricatto del marito nel terrore di perdere le figlie e aveva riannodato il rapporto. «Negli ultimi due-tre anni – sostiene Loris Milocco, il vicino di casa – non ho mai sentito litigi, per cui all’inizio ho confuso quelle urla come dei rimbrotti alle figlie per qualche probabile marachella». Invece, è toccato proprio a lui fare la macabra scoperta nella cucina dei coniugi albanesi dopo quel vociare che si era trasformato in urla disperate delle figlie che fuggivano di casa dopo aver assistito all’uxoricidio.

Lo stupore della comunità. Perfino il sindaco, Franco Costantini, allarga le braccia quasi in segno di sconfitta e d’incredulità prima di affermare che «quanto è accaduto è davvero impensabile». Una pausa, poi argomenta: «Qui a San Giovanni ci sono circa 650 stranieri, che rappresentano il 10 per cento degli abitanti. Di qualche famiglia si poteva e si può anche pensare che esistano situazioni a rischio che cerchiamo di tenere monitorate, ma di questa... Lei lavorava a “Sereni Orizzonti”. Lui faceva il muratore e se anche adesso non aveva il posto fisso riusciva sempre a procurarsi dei lavoretti. Non sapevamo di dissidi e ruggini del passato e di tensioni attuali. Per legge avevano diritto alla Carta famiglia per alcuni sgravi così come tutte le famiglie che hanno figli».

Le tensioni con i parenti. Il fratello, la cognata, i nipoti, la mamma della vittima abitano sulla stessa via Palmarina, a circa 200 metri dall’abitazione del delitto. Sono chiusi in un dignitoso silenzio. Chiedono soltanto di non essere fotografati e di non rilasciare interviste. Nessuna parola di odio o di vendetta nei confronti di Lulzmil Hadai. Soltanto dolore e tanta incredulità. Loro erano a conoscenza dei dissidi della copia. Avevano assistito al periodo difficile e alla riappacificazione. Ma i rapporti con l’omicida pare di capire si fossero incrinati da tempo. Ma nemmeno loro avrebbero mai pensato a un epilogo di questa portata. Il fratello di Irma scuote la testa e chiede di potere rientrare in casa. «Davvero - chiosa – non me la sento di dire nulla».

L’intervento di Loris. Loris Milocco l’altra sera era intento al giardinaggio quando ha sentito quello strano vociare. Non ci ha fatto subito caso, si diceva. Un po’ era preoccupato, ma poi quando ha visto la donna e le figlie dirigersi verso il garage si è detto che forse aveva esagerato. «Andranno a mangiare un gelato», aveva pensato. Ma da lì a poco la situazione è precipitata. Questa volta le urla erano vere, di paura, di terrore. E ha deciso d’intervenire. «Ho suonato il campanello – racconta – e dalla porta d’ingresso sono uscite correndo le bambine terrorizzate ripetendomi che il papà stava facendo del male alla mamma. Ho visto che si allontanavano fuori dal loro giardino proprio mentre entravo nella casa dei vicini. Pochi passi e, dopo aver notato a terra le prime tracce di sangue, sono entrato in cucina».

Il terrore di Loris. La donna era riversa in una pozza di sangue e il marito era ancora chino su di lei. Loris è terrorizzato, non sa neppure se l’uomo impugna ancora il coltello. «L’unica mia preoccupazione – ricorda - è stata quella di correre a casa per telefonare al 118 sperando che la donna fosse ancora viva. Non so se ho avuto paura di Lulzim perché in quei momenti fai tutto d’istinto. Pensavo soltanto a sua moglie e alla possibilità che un intervento tempestivo l’avrebbe potuta salvare». Loris non ha mai avuto problemi con i vicini di casa. E ripete che negli ultimi anni non aveva mai assistito a litigi.

La solidarietà delle colleghe. La tragedia ha lasciato sconvolti soprattutto il personale della casa di riposo dove Irma Hadai era assistente agli anziani, sia l’intera “Sereni Orizzonti spa” che gestisce la struttura e che, ormai, considerava Irma una persona “di famiglia”. «Era una bravissima ragazza – racconta Raffaella Corallo, responsabile della residenza per anziani che parla anche a nome delle altre collaboratrici -; una grande lavoratrice, sempre molto umile e disponibile. Faceva l’assistente: era sempre gentile nei confronti degli anziani di cui si prendeva cura con umanità e professionalità, col sorriso sulle labbra».

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