L’Ue ha deciso: mais Ogm vietato anche in Italia

Modificata l’area geografica in cui la coltivazione è autorizzata. Fidenato (Futuragra): «Dubbi sulla legittimità della direttiva»

UDINE. Ora non ci sono più battaglie legali, dubbi interpretativi e provocazioni sul campo che tengano: coltivare granoturco geneticamente modificato (Zea mays L.), in Italia, è vietato.

Così aveva chiesto anche il nostro Paese, insieme ad altri 18 Stati membri, il 1° ottobre 2015, e così ha stabilito la Commissione europea, con decisione del 3 marzo scorso. La notizia, come intuibile, ha avuto e continuerà ad avere un’eco particolare in Friuli Venezia Giulia, dove vive e opera Giorgio Fidenato, imprenditore agricolo e leader di Futuragra impegnato da anni in una vera e propria “crociata” a favore della libera diffusione degli Ogm.

Non è un caso, allora, se all’indomani della pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione europea della storica risoluzione è proprio dai suoi campi, al momento sotto sequestro, che suona già la tromba della riscossa. «Non sono così sicuro che la vicenda sia chiusa qui – afferma Fidenato – e con il mio legale sto valutando l’eventualità di impugnare la direttiva.

A nostro avviso, questo provvedimento vìola i trattati dell’Ue sulla libera circolazione delle merci: stando così le cose, un mio collega spagnolo può seminare e io no. Mi sembra che questo basti a porre un serio interrogativo sulla legittimità della direttiva».

Di partite aperte con la giustizia, al momento, Fidenato ne ha due: una davanti al tribunale di Udine, in concorso con i fratelli Leandro e Luciano Taboga, per il terreno che possiede a Colloredo di Monte Albano, e l’altra davanti a quello di Pordenone, per due terreni di sua proprietà a Vivaro. Identica l’ipotesi di reato contestata dalle rispettive Procure di competenza: la violazione del divieto di coltivazione di mais Ogm Mon810, introdotto dal decreto del 12 luglio 2013 del ministero della Salute.

In entrambi i casi, accogliendo l’eccezione sollevata dall’avvocato Francesco Longo, che lo difende, i giudici hanno “congelato” il processo, in attesa di conoscere il parere della Corte di giustizia europea, cui la questione è stata trasmessa, sulla legittimità di tale decreto. Al supremo organo comunitario, in particolare, è stato chiesto di chiarire se uno Stato membro possa adottare le misure di emergenza, qual è il provvedimento in parola, «anche in assenza dei requisiti di rischio grave e manifesto per la salute, sulla scorta del principio di precauzione».

Era stata la direttiva Ue 2015/412 del Parlamento europeo e del Consiglio a introdurre la possibilità, per ciascuno Stato membro, di richiedere di adeguare l’ambito geografico di un’autorizzazione alla coltivazione già concessa - risalente al 1998, quando la Francia concesse a Monsanto Europe Sa l’immissione in commercio dei prodotti a base di granturco Mon 810 -, affinchè tutto o parte del suo territorio potesse essere escluso dalla coltivazione.

A farlo sono stati 19 Paesi: oltre al nostro, anche Vallonia (Berlgio), Bulgaria, Danimarca, Germania (tranne che a fini di ricerca), Grecia, Francia, Croazia, Cipro, Lettonia (la prima a muoversi in tal senso), Lituania, Lussemburgo, Ungheria, Malta, Paesi Bassi, Austria, Polonia, Slovenia, Irlanda del Nord, Scozia e Galles.

Ricevuto l’elenco dalla Commissione, Monsanto non ha sollevato alcuna obiezione entro i 30 giorni previsti, non confermando in tal modo l’ambito geografico precedente. A dettar legge, a questo punto, è l’articolo 26 quater, paragrafo 3, della direttiva di adeguamento della “perimetrazione”. Il provvedimento porta il nome del commissario Vytenis Andriukaitis.

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