Macras: «Il teatro è il luogo della lotta»

Primo gesto: uscire dal teatro per capire il teatro, guardarsi attorno, camminare per la città, osservare, seguire le sinuosità dell’architettura, non perdersi. Macras - lei è la celebre Constanza, guru del total theatre, regista e coreografa argentina assorbita dal fermento artistico berlinese - si sta prendendo cura di una piccola Babele attorale, sedici professionisti con passaporto italiano, belga, spagnolo e francese; il mondo École des Maîtres, per capirci.
Workshop di ventisette giorni tachicardici (con uno show live udinese il 5 settembre) diviso fra il San Giorgio e la portoghese Coimbra. Si suda e si fatica, poche pause. Macras è un generale, parla velocissima, agisce altrettanto in fretta, il tempo è schiavo suo. Serve plasmare la truppa.
Tema. 1991: a science fiction about Central Asia. «Ho attraversato molti Paesi asiatici dell’ex Urss - spiega in un pausa strappata coi denti - con in tasca un progetto preciso: raccontare i difficili processi di democratizzazione in Kazakhstan, Kyrgyzstan, Uzbekistan e Azerbaijan. Non solo. Il pianeta sta subendo forti scosse politiche ed economiche, dalla primavera araba alle rivolte degli indignados. Il teatro è il luogo della lotta, voci che incidono soprattutto quando i governi vorrebbero farci tacere. Ecco, questo magma informe e drammatico può essere plasmato, avviluppato a un senso comune di libertà».
Se li è portati a spasso per Udine, i ragazzi. Si diceva. Tutti rapiti da una quiete insolita. «Location perfetta, questa. Riprendi colore e cambi pelle. Già notai il clima speciale quando venni qui due anni fa al Contatto del Css col mio spettacolo (Berlin Elsewhere, ndr); mi è bastato inspirare una volta per ritrovare quei singolari odori».
Ora si tratta di estorcere a Constanza, azione non facile, il sistema scelto per inoculare al gruppo il senso scenico di democrazia. Chi la conosce sa quanto la fisicità, la musica, il canto e la parola trovino l’energia per fondersi in un’arte unica che si spalma uniformemente sul palcoscenico.
«Lavoriamo sul corpo, ma anche sullo scambio dei pensieri. Dalle domande nascono risposte e da quelle risposte si forma un concetto globale. E noi attingiamo da questo, lavorandoci attorno. In 1991 vorrei esaminare tutto ciò in stile fantascientifico, dove la precisione della conoscenza possa dare spazio all’invenzione. E ci dobbiamo chiedere: queste “remote” terre d’Asia rappresentano un’alternativa all’Europa o sono più spaventose della Cina?».
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