Madre, nonna e clienti “ripuliti”: la bancaria adesso rischia la casa

PORDENONE. E’ la pordenonese Valentina Piccin, poco più che trentenne, la dipendente bancaria finita sotto inchiesta per aver fatto sparire 250 mila euro dai conti di parenti e clienti della Banca Popolare di Verona, istituto di credito (totalmente estraneo ai fatti) per il quale lavorava fino al 2012.
La donna, che da circa un anno, dopo un periodo di sospensione dal servizio, ha concluso definitivamente il proprio rapporto di lavoro con la banca, è ora priva di occupazione e sta cercando di rifarsi una vita superando un capitolo amaro e fino a due anni fa semplicemente inimmaginabile.
Sul fronte giudiziario, chiuse le indagini della polizia postale di Pordenone, condotte dalla procura della Repubblica presso la direzione distrettuale antimafia di Trieste e coordinate dal pm Giorgio Milillo, il processo avrà sede nel capoluogo al Noncello e si concluderà, salvo colpi di scena, con un rapido patteggiamento.
Verso tale richiesta, inatti, si è orientata la difesa della Piccin, sostenuta dall’avvocato Marco Zucchiatti, in maniera perfettamente coerente con l’atteggiamento processuale che l’ex dipendente della banca, una volta scoperta, ha sempre tenuto, ammettendo completamente le proprie responsabilità.
Dei circa 250 mila euro movimentati dalla donna, che lavorava nel settore della gestione dei clienti privati, 200 mila, nel corso degli anni, risultano essere stati sfilati alla madre e alla nonna e solo una parte residuale alla clientela. Tutte le iniziali parti lese sono state, comunque, completamente risarcite dalla Banca Popolare di Verona, che resta dunque oggi, a sua volta, l’unica parte lesa effettiva del procedimento in corso.
Con l’istituto di credito in cui lavorava, peraltro, Valentina Piccin aveva contratto un mutuo con ipoteca sulla propria abitazione. La banca potrà dunque, verosimilmente, rifarsi, seppure parzialmente, sull’immobile, in attesa di una piena definizione del rapporto a livello di risarcimenti.
«Ciò che stupisce in questo caso - ha dichiarato ieri sera l’avvocato Zucchiatti – è che la mia cliente non sa dare una giustificazione per il proprio comportamento. Non è stata mossa dalla molla dell’ingordigia, nè dalla volontà di aumentare il livello del proprio tenore di vita. Non si è comportata in questo modo per particolare e specifiche ragioni. Ha anzi sempre continuato a vivere nella stessa maniera. Comprava cose di cui non aveva bisogno, senza motivo, non sa nemmeno lei spiegare perchè. Spesso le regalava senza nemmeno aprirle. Quasi uno shoppping compulsivo, il suo. Una situazione davvero strana, per quella che è la mia esperienza. Tra l’altro agiva in un modo che rendeva impossibile che non fosse scoperta. Faceva bonifici sul suo conto (e proprio la movimentazione eccessiva dello stesso, tenuto nell’istituto di credito per il quale lavorava, ha insospettito inizialmente i colleghi e poi la polizia postale) e fin dall’inizio, quando la banca le ha chiesto spiegazioni, ha confessato tutto, ribadendo tale atteggiamento in sede processuale. All’inizio – ha proseguito il legale – ha provato questo tipo di stratagemma e poi si è trovata a rifarlo puntualmente, non si sa perchè. Quando l’hanno scoperta sembrava quasi contenta del fatto che fosse finita, pareva quasi che volesse essere fermata. Dal giorno della sospensione fino alla lettera di dimissioni, risalente a circa un anno fa, non è più tornata al lavoro».
Oggi Valentina Piccin è aiutata dalla famiglia e una delle ipotesi, come conferma il suo difensore, è che decida di lasciare Pordenone per ricominciare la propria esistenza altrove.
E’ giovane e ha davanti a sè ancora tanta strada. Ammettere l’errore e rifarsi una vita, a risarcimenti avvenuti e a pena patteggiata, è un diritto che non può e non deve esserle negato.
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