Maestra truffata, il giallo del risarcimento

Porcia, la donna raggirata nella firma di una fidejussione. Prescritta la condanna del bancario, ora scatta la causa civile

PORCIA. Condannato (con indulto) in primo grado per truffa aggravata, per un direttore di banca è scattata la prescrizione in appello. È stato al centro di una intricata vicenda nella quale si intreccia anche la condotta di un imprenditore e, suo malgrado, della moglie.

Un passo indietro, al gennaio 2010. L’ex direttore della filiale di Porcia della Veneto Banca, Riccardo Buna, 56 anni, di San Quirino, era stato condannato dal giudice del tribunale di Pordenone per truffa aggravata: sei mesi di reclusione e 100 euro di multa, indultati, liquidazione dei danni e provvisionale di tremila euro.

Il funzionario il 29 ottobre 2003 si era recato, secondo il capo di imputazione, nell’abitazione di una cliente di Porcia, maestra elementare e, col proposito di volerla avvisare che il marito rischiava di metterla nei guai per vicende aziendali, le aveva fatto firmare un atto integrativo di fideiussione spacciandolo per una liberatoria sulla privacy.

Nell’estate 2003 il marito della donna si era rivolto alla banca per ottenere credito per l’azienda. L’istituto gli concesse 80 mila euro, pretendendo la garanzia fideiussoria sia dell’imprenditore sia della donna. L’uomo la firmò portandosi a casa l’atto per farlo firmare anche alla moglie: lo riportò alla banca, dopo avere falsificato la firma. I conti dell’impresa nel frattempo scricchiolavano e la banca inviò un telegramma ai coniugi, revocando l’affidamento. Il marito lo stracciò all’insaputa della moglie.

A quel punto Buna si era recato a casa della donna spiegandole le preoccupanti vicende aziendali e sottoponendole due documenti da firmare: la ricezione del telegramma e un documento sulla privacy. In realtà era il documento fideiussorio.

Scoperti i retroscena della vicenda, la donna chiese copia. Buna rispose di aver fatto firmare il telegramma, ma non accennò alla fideiussione. Nel frattempo Veneto Banca emise (in buona fede) un decreto ingiuntivo per 50 mila euro al tribunale di Montebelluna nei confronti della donna, producendo il documento a firma del marito; poi anche l’atto integrativo contestato.

Nel 2009 l’azienda fallì e gli immobili della donna vennero ipotecati. Il Tribunale di Montebelluna riconobbe la nullità dell’atto integrativo e condannò Veneto Banca a pagare 17 mila euro di spese legali alla donna. Quest’ultima riuscì a far cancellare l’ipoteca, ma non potè movimentare i conti iscritti nel registro delle sofferenze.

Buna ha appellato la sentenza di primo grado. La Corte d’appello ha dichiarato la prescrizione, confermando il risarcimento, che sarà quantificato in sede civile. «Decine di migliaia di euro dovuti alla mia assistita, che per molti anni non ha potuto beneficiare dei suoi immobili», spiega l’avvocato Antonio Malattia, che tutela la donna. Per il difensore di Buna, Luca Turrin, «è una sfortunata questione. Il mio assistito è tuttora apprezzato funzionario della banca».

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