Mani pulite, 33 anni dopo: da Pordenone a Udine, così le tangenti cambiarono la politica
La stagione di Mani pulite cominciò in riva al Noncello con i primi arresti. Corruzione o concussione? La diversa linea investigativa adottata dalle procure

Febbraio. Esattamente il 17 febbraio. Sono passati trentatrè anni dal 1992, quando “Mani Pulite” scoppiò fragorosamente con l’arresto a Milano di Mario Chiesa. Lì, tra i protagonisti di quella storica vicenda, c’era anche l’ex generale dei carabinieri Roberto Zuliani, ora sindaco di Mortegliano.
Una data che resta ben impressa nella memoria nella Storia italiana. La fine della Prima Repubblica, ma anche l’inizio di un nuovo mondo dove le regole della politica e della magistratura cambiarono radicalmente.
1992: i protagonisti
Anche in Friuli la Dc, il Psi e gli altri del pentapartito trentatrè anni fa uscirono dalla scena politica con l’onda di Mani pulite, più o meno colpiti e affondati. Sono i primi anni Novanta e anche in Friuli, sponda Pordenone, il cosiddetto tintinnare di manette sfonda sui media esattamente con la stessa potenza espressa dal pool di Mani pulite a Milano. Il primo nostro “Di Pietro” si chiama Raffaele Tito, ex ufficiale della Finanza sostituto procuratore in riva al Noncello (è rientrato a a Pordenone come procuratore capo dopo essere passato anche dal pool milanese, ora è a Verona).

Il meccanismo è rodato: finiscono in cella i primi imprenditori e poi, a seguire, i politici. Le cronache ricordano le autorizzazioni a procedere per i parlamentari Di Benedetto, De Carli e Agrusti e poi i loro arresti, anche spettacolari come quello in pieno congresso democristiano a Roma.
Non si contano gli indagati, i processi nei loro gradi di giudizio tra condanne in primo grado, assoluzioni e prescrizioni in Appello eccetera, i risultati delle inchieste: quel che è sotto gli occhi di tutti è che pure in Friuli l’onda dell’ipotizzata corruzione spazza pian piano la classe politica.
Appalti, tangenti, imprenditori e politici di vario livello, anche portaborse: tutta gente che più o meno, a trent’anni da quello tsunami, ha ricoperto o ricopre ancora cariche di rilievo in strutture pubbliche e private. Poi, come detto, ogni processo avrà una sua storia, anche a lieto fine per alcuni.
Se di obiettivo principale si può parlare, di certo l’ex presidente della Regione Fvg Adriano Biasutti era nel mirino. Per lui parlano i due arresti (prima da Pordenone e poi da Udine), l’assoluzione in Appello nel primo filone e il cosiddetto patteggiamento tombale scelto come strategia processuale per uscire indenni ed evitare altra galera, dopo avere sborsato circa 200 milioni di lire a titolo di risarcimento del danno da inserire nel calderone dello sconto della pena concordata.

Alla morte di Biasutti, nel gennaio 2010, così parlava l’avvocato Giuseppe Campeis, suo difensore: «Ricordo di lui non l’influente e autorevole politico, quale certamente era stato prima del nostro incontro, ma l’uomo colpito in uno dei suoi beni più preziosi: la libertà. Ammirai di lui come affrontò un momento buio della nostra civiltà giuridica; reagì all’eccesso di carcerazione preventiva e alla moltiplicazione di procedimenti giudiziari “mirati” con grande dignità e forza d’animo esemplare, accettando dal suo Stato, al pari di Socrate nel Critone, anche una Giustizia momentaneamente alterata nel suo funzionamento».
Dalla bocca di Biasutti, però, non esce alcun altro nome. Anche se in tribunale a Udine, quando vede entrare i cronisti di giudiziaria, il 5 volte presidente della Regione Fvg li continua a bollare con l’espressione «Eccoli, gli addetti stampa della procura», il suo atteggiamento processuale è freddo e lucido.
Ancora Campeis: «È sempre stato in condizioni di discutere e ragionare, di verificare le scelte. Il patteggiamento fu un progetto fatto con lui a tavolino e poi verificato “fuori”. Col senno di poi è facile parlarne, ma all’epoca non si sapeva quando si usciva dal carcere e come andavano a finire i processi».
La strategia Udine
Già, i processi, le inchieste. Udine adotta un’altra strategia in linea generale, ritenendo che gli imprenditori siano costretti a pagare le tangenti ai politici e quindi concussi e non corruttori a loro volta.

Mani pulite a Udine è seguita dal compianto procuratore Giorgio Caruso e dall’allora sostituto Giancarlo Buonocore, quindi anche dai colleghi Luigi Leghissa e Paolo Alessio Vernì, quest’ultimo passato all’autorità inquirente (e da diversi anni di nuovo al giudicante, dove presiede la sezione penale del tribunale udinese) dopo essere stato il Gip che a Tolmezzo mise il sigillo su un altro procedimento storico: quello dell’allora sindaco di Gemona Ivano Benvenuti, arrestato e poi assolto . Stessa sorte (anzi con l’archiviazione) per Vito Anselmi a Tarvisio e sicuramente fanno storia gli oltre 30 procedimenti finiti tutti nel nulla collezionati da Ervino Rosenwirth.
Nei processi udinesi finiscono in custodia cautelare in carcere personaggi come Angelo Compagnon, Massimo Blasoni, Rudy Battilana, Luciano Missera... così, andando a memoria. Oltre a Biasutti naturalmente, che dopo la cosiddetta carcerazione preventiva non farà più un giorno di carcere perché finirà di scontare la pena con l’affidamento ai servizi sociali assegnato alla Casa dell’Immacolata, lasciando anche lì un grande segno della sua intelligenza.
Nel mirino ci sono sempre gli appalti pubblici: l’impianto di compostaggio di via Gonars a Udine, l’impianto di San Giorgio di Nogaro, l’Amga, lo Iacp (ora Ater), le cosiddette tangenti-spot a Canale 55, emittente tv pordenonese.
È ancora l’ombra di Biasutti, nel ricordo dell’avvocato Campeis, a delineare il quadro di quegli anni: «I giudici di primo grado non hanno avuto il coraggio di assolvere Biasutti perché vivevano nel clima di Tangentopoli, condizionati dal Gip che aveva disposto l’arresto e quindi proposto il giudizio immediato sulla base di una presunta prova evidente».

Sulla politica e sulle accuse mossegli, Biasutti diceva sempre di non aver commesso illeciti diversi da quello che era il sistema di finanziamento dei partiti, senza mai mettere in tasca una lira. «Se ci sono state anomalie – diceva Campeis usando le parole del cliente – erano del sistema e non mie: pago il mio prezzo senza tirar dentro nessuno».
*Questo articolo è stato pubblicato per la prima volta nel febbraio del 2022, a trent’anni dall’arresto di Chiesa e dall’avvio di Tangentopoli
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