Marco e Massimo maghi del ferro battuto, ereditano passione e segreti del mestiere

Ad aprire la bottega è stato nonno Francesco. Era il 1918. «Checu fari» era il fabbro del paese e per affinare la sua formazione era andato persino in Piemonte, a Pinerolo a frequentare un corso di mascalcia. Così al tempo, nella sua officina, dal ferro forgiato nasceva un po’ di tutto, compresa l’attrezzatura per gli agricoltori della zona. Nonno Checu allora batteva ferro e nella stagione invernale pure baccalà. «Ogni tanto io lo faccio ancora. Per uso personale», dice Massimo Pilutti, 53 anni. Insieme al fratello Marco, classe 1961, oggi rappresenta la terza generazione della Officina artigiana Pilutti di Ronchis di Latisana.
Sì, perché dopo il nonno, il «fari» del paese è diventato papà Dante. Si deve a lui la trasformazione del piccolo laboratorio, allora in centro paese, in quell’officina – più di 900 metri quadrati di superficie – trasferita dal 1973 nella zona artigianale. Che fino a qualche anno fa contava anche 6 dipendenti. E si occupava di tutto ciò che è carpenteria metallica.
Accanto al servizio per il settore agricolo – che prosegue ancor oggi –, dal ferro battuto sono nate cancellate, ringhiere per scale, inferriate per porte e finestre, portoni, elementi di decoro. Poi, l’inserimento ufficiale dei figli in azienda. «Siamo praticamente nati in bottega – dicono i fratelli –. Al mattino ci si svegliava col suono del martello che batteva sul ferro».
Scelta naturale, quindi, dopo gli studi – Marco è perito meccanico, Massimo invece congegnatore –, quella di tenere viva una tradizione tramandata di padre in figlio. «Quando nasci col fuoco, il carbon fossile e il ferro intorno, non ne puoi più fare a meno», commenta Marco.
«E ti senti addosso una certa responsabilità nel portare avanti un mestiere antico, risultato di migliaia di anni di passioni, sentimenti e saper fare». Loro lo hanno fatto volentieri. E il passaggio generazionale negli anni 80 è coinciso con la scelta di rimanere una realtà artigianale, «pur consapevoli di dover fare i conti con le produzioni industriali, standardizzate e realizzate in poco tempo». Altre strade che avrebbero di sicuro significato «maggiori soddisfazioni economiche».
I Pilutti non hanno avuto alcuna esitazione quando hanno deciso «di continuare a lavorare con le mani». Da fabbri. Pezzo dopo pezzo. Con la pazienza e i tempi richiesti quando si ha a che fare con la fucina, l’incudine e il martello. Pensando e progettando insieme al cliente. «Il confronto e il rapporto personale sono le caratteristiche che hanno sempre accompagnato l’attività del nonno e poi quella di nostro padre».
Così, nel tempo, alla carpenteria metallica – gamma ampliata proponendo pure componenti d’arredo d’interno ed esterno –, Marco e Massimo hanno deciso di abbinare l’artigianato artistico. Oggi dalla loro officina non escono solo portoni e ringhiere, letti, tavolini, sedie, lampade, ma anche vere e proprie opere d’arte. E tutto nasce avendo sempre bene in mente quanto amavano ripetere nonno e papà. «Mai perdere il desiderio di fare le cose bene e di vedere il cliente uscire dalla bottega contento».
Un’evoluzione – la cui spinta è stata quella di adattare un mestiere antico alla propria sensibilità –, affrontata non prima di aver frequentato corsi di specializzazione in ferro battuto. Iniziando a Venezia, nell’isola di San Servolo, al Centro Europeo per i Mestieri della Conservazione del Patrimonio Architettonico, dove Massimo si è specializzato in disegno.
Poi il punto di riferimento è diventato il Castello di Helfstyn in Repubblica Ceca dove ogni anno, ad agosto, si danno appuntamento fabbri provenienti da tutto il mondo. I maghi del ferro battuto espongono lì le proprie opere, scambiano esperienze, si confrontano gareggiando.
E al raduno mondiale i Pilutti non possono certo mancare. Gli unici dal Friuli, insieme ad una manciata di colleghi provenienti da altre parti d’Italia. E nel 2003 i due artigiani-artisti partiti da Ronchis hanno persino vinto il primo premio del concorso internazionale. Insieme, su progetto di Marco, hanno forgiato un letto con due grandi farfalle sulla testiera, che è piaciuto davvero tanto alla giuria di esperti. Qualche anno fa, in occasione di una rassegna promossa per il centenario della Grande Guerra, alla caserma Di Prampero a Udine, sede del Comando Brigata Julia, hanno esposto un’opera nella quale hanno inserito uno scheletro in ferro.
A grandezza naturale. Lo hanno realizzato su disegno di papà Dante. Anche lui, mancato nel 2016, amava il ferro battuto artistico. Per questo era tanto orgoglioso della strada intrapresa dai figli. E della svolta impressa all’azienda di famiglia – dove manualità e creatività oggi vanno avanti di pari passo –, pur mantenendola saldamente ancorata alle radici. Che significa anche cercare di accontentare sempre le richieste dei clienti. In paese, raccontano, ancora oggi se c’è qualcosa da aggiustare – qualsiasi oggetto, anche il manico di una pentola –, «basta andare dai Pilutti». «Non abbiamo mai chiuso la porta a nessuno. Ci sentiamo parte della comunità».
E proprio nella piazza del paese – a poca distanza da dove tutto è cominciato con Checu –, nella comunità dove sono nati e cresciuti e ancora oggi vivono, i due fabbri «porteranno» la loro bottega – con tanto di fucina, incudini, martelli, magli e tenaglie, attrezzi per la gran parte ereditati da nonno e papà –, grazie ad un’iniziativa voluta dall’Amministrazione comunale per rendere onore e celebrare il secolo di vita dell’attività. Sarà l’occasione per vedere all’opera i fratelli, un po’ artigiani e un po’ artisti del ferro.
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