Maria Leitner, la friulana piú veloce d’Italia

UDINE. Donne e motori, gioie e Maria Leitner. Svecchiamo il detto consunto e bisunto. I dolori appartengono al passato. Oggi le femmine vanno come schegge. Non ai cinque mila giri di Maria, ma filano in surpluss. Forse ancora nei parcheggi c’è da regolare il giro giusto del volante in retro, spesso fuori sincrono. La signora delle automobili annuisce.
«In effetti siamo scarsine nel depositare la macchina dentro gli appositi spazi blu. È vero, un tempo la donna guidava poco e il ristretto manipolo andava a sei all’ora. Le mamme sono le più prudenti, il che non significa imbranate. Procedono con la lentezza della responsabilità». Chi s’innamora spesso e volentieri di magnifiche scocche con le ruote e ne segue le frenetiche evoluzioni, conosce virtualmente la bella bionda di Tg2 Motori, da quindici anni l’icona televisiva dei bolidi su strada, anche di quelli da centoventi all’ora, per dire, a tre o a cinque porte, suv, spider, station. Leitner è ciò che resta del cognome vero - Lechleitner - dopo il brusco taglio. «Babbo austriaco, ecco perché mi chiamo così, e mamma friulana, di Pordenone».
Ma il 29 ottobre di un certo anno (un signore non svela mai l’età) a Udine nasce Maria. «Un po’ per caso. Dicevano fosse un ospedale più attrezzato. E così papà preferì riservarmi un primo sguardo udinese».
- Lei è la più veloce giornalista d’Italia. Da dove prese la rincorsa?
«Da ragazzina. Nessuno in famiglia aveva la benché minima intenzione di farmi saltare sopra un motorino. Avrei potuto pregare per l’eternità. Niente. Per compensare un sogno infranto mi spinsero dentro una 500, a tredici anni. Giusto qualche giretto nel giardino di casa. Bastò per farmi sentire un tutt’uno col mezzo. Sebbene le due ruote rappresentassero la libertà, che mi mancò, le quattro si rivelarono il destino».
- In Friuli ci torna ogni tanto?
«Appena mi sgancio, sempre volentieri. I miei abitano a Pordenone e le mie cugine Floreani a Udine».
- E quando smontò dalla 500 che successe?
«Me ne andai a Milano con nel cuore il rombo giusto. Sballavo per i rally e avendone uno celebrato sopra casa, il Piancavallo, mi intrufolai fra i team. Conobbi i migliori uomini di quegli anni, da Cesare Fiorio a Jean Todt».
- Todt?
«È stato un famoso copilota. Di Jim Clark e di Dan Gurney. Diciamo dai Sessanta a fine degli Ottanta. Comunque, strinsi amicizie giuste, diciamo con ingegneri, meccanici e piloti, ovviamente, e iniziai a conoscere dove mettere le mani sotto il cofano».
- Quindi se l’auto si ferma, facciamo un ipotesi, non è il suo accompagnatore a sporcarsi le mani...
«Sono ferrata soltanto sulla diagnosi. E poi oggi è impossibile intervenire in strada. Troppa elettronica. E motori coperti, tra l’altro. Anche io chiamerei il carro attrezzi. Con un modello vecchio, be’, ci si potrebbe divertire».
- Prima donna italiana a commentare la F1. Si accorsero subito di lei.
«Tmc non stava cercando un uomo e così arrivai io. Mi buttarono dentro in diretta così».
- La bellezza l’ha agevolata?
«All’occhiata d’esordio è utile, poi - a volte - diventa un peso. Devi essere al top, altrimenti ti dicono “eh, sta lì solamente perché è carina”. Capisce come funziona?».
- Non è il suo caso, Maria. Lo sa che è invidiatissima da un sacco di guidatori della domenica? La vedono in tv mentre degustano il risottino e sbavano.
«Spesso provo modelli che fanno gola, è vero».
- Ha il piede pesante sull’acceleratore?
«In città assolutamente no. Anzi, ho una piccola auto. A Roma non hai grande spazio per le corse. Ecco, se magari tengo una supercar in prova per qualche giorno, mi scateno in pista. Faccio un salto a Vallelunga e pigio sul pedale senza trattenermi».
- L’abbiamo vista anche nelle eleganti vesti del corrispondente da New York. Questo per dire che l’importante, nel mestiere, è spaziare ovunque pur tenendosi stretta l’eccellenza.
«Esperienza mitica. Ho sostituito il collega Gerardo Greco. Non puoi fare lo schizzinoso quando ti inviano da qualche parte. Passi dalla cronaca nera al crollo della borsa in tempi strettissimi».
- Come si guida sulle strade italiane?
«Mah, ci sono i pazzi e i diligenti. Non saprei fare la giusta proporzione. Ci vorrebbero, ecco, dei corsi per tutti che insegnassero a possedere il mezzo nei casi estremi. Se sbandi di solito freni ed è l’errore più clamoroso».
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