Marta sui Tubi: «Dall’underground siamo saliti a Sanremo»
«Ci chiedevano: e Marta, dov’è?». Sotto il palco il maschio latino se l’aspettava, Marta. Magari minigonnata, tutta labbra e seno e con una voce da incubo sessuale. Macché. «Arrivavamo noi, io e Carmelo, Carmelo ed io».
Per io s’intenda Giovanni Gulino, il frontman del gruppo.
«In effetti “Marta sui Tubi” non avrebbe dovuto resistere più di un mese come insegna», spiega Giovanni. «L’abbiamo buttato giù ridendo e scherzando giusto per scimmiottare i nostri amori musicali, tipo Marlene Kuntz, ecco, tutti guardacaso con nomi femminili. E noi? Siamo mica in più sfigati? E così è arrivata Marta».
Comunque Marta non c’è, canterebbe l’amico Nek. In compenso il gruppone in un decennio ha spaccato davvero. Un decollo lento da Boing grosso e pesante. Ma se prende quota, poi fila.
Uguale. 2003: esce Muscoli e dei. Ne è piovuta di roba dal cielo in anni dieci. L’Italia non è più quella, siamo diversi, via. Loro sono rimasti, anzi, si sono solidificati non poco. Di live ne fanno parecchi, questione di domanda e offerta. Giusto per usare l’agenda chiusa nella borsa, segnatevi una data: giovedì 5 settembre, ore 21, Palmanova outlet, piazzetta principale. Loro ci saranno.
- Un paio di lustri messi assieme impongono un rewind veloce. Cosa ne dice Gulino?
«Si può fare senza perderci nei particolari, per non annoiare, eh. Dal basso ci siamo mossi. Dall’underground, diremmo. Frequentavamo i pub bolognesi. Sempre io e il Carmelo Pipitone di prima. Ci si trova a suonare assieme, c’è sintonia cover. A guardare gli avventori parevano felici. La voce gira, il sistema è quello del passaparola. Buttiamo giù qualcosa di nostro e si inizia. Con lentezza, ma convinti. La salita non l’affrontiamo saltellando, però s’intravede la cima. E ci divertiamo un sacco. Conta questo».
- Cinque dischi, nel frattempo, un Sanremo, undici singoli, sei compilation e soprattutto siete lievitati, come il pane in forno. Niente più solo lei e Carmelo, Carmelo e lei.
- Espansi, sì. In più siamo e più ce la spassiamo. Non sembri una boutade, il numero aumenta di parecchio la nostra capacità creativa globale. Chiunque abbia un’idea buona la spiattella lì per lì e c’è sempre qualcuno pronto a raccoglierla. I pezzi si mettono in moto con la collaborazione collettiva».
- Le va di continuare col giochino del decennale?
«Certo».
- Un bel ribaltone, no? E la musica?
«Approcci agli antipodi. Pensi solo a com’era difficile divulgare le canzoni nel Duemila rispetto a oggi. Internet è un mondo pazzesco, adesso. Ti basta un clic per spalmare quattro notte nel mondo. Quando cominciammo, con pazienza, imbustavi i cd e li spedivi alle case discografiche, che manco ti rispondevano».
- Ci avete fatto pure una canzone cucita addosso alla rete, Dispari...
«Pure bocciata nel confronto sanremese con Vorrei. La preferivamo tutti, comunque è andata. Quel posto virtuale è davvero magnifico e folle. Mi vengono in mente gli approcci con le ragazze. Un tempo le cercavi al telefono e t’incontravi. Punto. Adesso no, prima di trovartela di fronte a un caffè sai già tutto di lei, l’hai spiata per bene su Facebook e su altre diavolerie. C’è differenza fra i nativi analogici e quelli digitali. I babies dei Novanta non possono capire le fatiche dei coetanei dei Settanta».
- Com’è guardare il festival dall’altra parte?
«Eccitante, ma sembra un’ovvietà. È il prima ad aver intrigato maggiormente. La chiamata con la richiesta di partecipazione, e chi se l’aspettava? L’Ariston forma. È persino pedagogico».
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