Marzotto, mondina e nobile: la donna che visse due volte

Un’esistenza glamour nei salotti della Roma “imperiale”
Marta Marzotto (S) con Marta Brivio al teatro della Scala di Milano per la prima dell'opera Lohengrin di Richard Wagner diretta dal maestro Daniel Barenboim, 7 dicembre 2012. ANSA / MATTEO BAZZI
Marta Marzotto (S) con Marta Brivio al teatro della Scala di Milano per la prima dell'opera Lohengrin di Richard Wagner diretta dal maestro Daniel Barenboim, 7 dicembre 2012. ANSA / MATTEO BAZZI

UDINE. Si può dire una meravigliosa vita, la sua? Che non smetterà mai di autoalimentarsi nel sicuro prosieguo terreno di quell’anima potente dall’eccesso glamour. Ogni salotto, ogni angolo di borghesia e di nobiltà, ormai, sanno di lei.

Marta Marzotto, nata Vacondio, abitò con leggerezza gli anni decisivi della Commedia . ridiculosa dell’arte italiana, teatro a canovaccio di una Prima Repubblica, curiosa civiltà di servitori e di padroni, che pareva scritta da Goldoni, se fosse nato nel Novecento. La crearono e la plasmarono, altresì, un casellante e una mondina della lombarda Mortara nel 1931.

Addio a Marta Marzotto, la donna delle imprese

A ottantacinque anni, la contessa «se n’è andata», scrive la famiglia. «Dopo una breve malattia. Era serena e circondata dai figli e dai nipoti». La modernità contempla pure i cinguettii d’addio. E il tweet di Beatrice Borromeo, nipote adorata - «Ciao nonita mia» - è stato retwittato ovunque.

Un incipit esistenziale decisamente fiabesco. Temprata fra le paludi lomellinesi, con le snelle gambe dentro le foglie di riso, Marta riuscì a vestire con nonchalance l’abito dell’intrattenimento colto, come se non avesse fatto altro in gioventù. Forge con stampi resistenti al mutare delle stagioni. La rassegnazione, spesso malattia senza rimedio, non intaccò affatto la giovane dai tratti belli e con la faccia da squaw.

A proposito. Le piaceva quando la tratteggiavano così. Donna di gran ironia. «Non baciate la Marzotto, vi attacca le rughe», fece la battuta quel simpaticone di Roberto D’Agostino. Marzotto la pigliò con un sorriso. Figuriamoci se la pavese, che scappò dal mondo rurale per fare la modista e poi la modella e poi la contessa, si faceva offuscare la giornata da queste minuzie.

Non solo destino. Carattere, diremmo. Quante Marta sono rimaste coi piedi a mollo a mordere la vita nella miseria? Certo, la signorina Vacondio conobbe il nobile Umberto, altre il popolano signor Vattelappesca. Una che fugge, però, ha l’indole di chi non s’accontenta. E da qualche parte arrivi, se esci prepotentemente da te stesso. Cinque figli e frequentazioni altolocate.

Addio a Marta Marzotto: una vita nella moda

La mondina lasciò spazio alla dama, e che dama. La immortalarono con Hemingway a cacciar anatre e con Francisco Franco a sparare alle pernici. S’intratteneva con Ranieri di Monaco e con Aristotele Onassis, quell’attimo prima che i due si facessero accompagnare da Grace Kelly e dalla divina Callas. E venne il tempo di sorseggiare champagne anche con la crème della crème italiana - i Pertini, i Craxi, i De Mita e potente compagnia di giro - che occupava i divani damascati della Roma imperiale.

Donna Marta appuntava e, in due libri, comparì tutto: Una finestra su piazza di Spagna e Smeraldi a colazione, quest’ultimo vergato a due mani con la giornalista Laura Laurenzi. Si scrisse, ma voi ben sapete quanto certe cose si facciano scrivere, della malinconia della signora. Evitiamo di rovistare nei facili pensieri che si tramutano in equazioni banali: ricchi e felici, poveri e infelici. Il malessere colpisce a random.

Fu poi lei ad ammetterlo, rivelando il rimedio: Roma. E l’amore. I palpiti sono sempre un buon medicamento. «La mia dolce libellula d’oro», l’apostrofò Renato Guttuso, passione pura - vent’anni fianco a fianco - sulla quale si favoleggiò sin troppo. Appena il cielo s’incupiva, e in una coppia il meteo è in costante evoluzione, il maestro sedeva al tavolino e buttava giù lettere.

Addio Marta Marzotto, il ricordo del figlio Matteo: "Fino all'ultimo con il sorriso"

Cinquemila? Leggenda, fantascienza, immaginazione, forse verità. Il siciliano di Bagheria riempì cinque mila fogli bianchi, sperando, ogni volta, di riportare l’abbraccio spontaneo. Finché Marta conobbe un tale Lucio Magri, politicante in zona Pci, uomo di fascino, definito “un rivoluzionario vanesio”. E addio lui. Musa, certo, «e fiera di non aver mai posato né per Renato, né per altri», sottolineava con la matita rossa. Gli eredi del pittore la trascinarono pure in tribunale per le solite beghe fra parenti e nuove facce entrate prepotentemente nel gruppo originale. Fu condannata, poi assolta in appello.

Le sue feste - cortinesi e capitoline - hanno rimbalzato fra i siti gossippari con l’energia che quest’epoca riserva alla sezione Belle Époque del terzo millennio. Eccessi? Be’, i detrattori si accaniscono. In realtà il popolo s’ipnotizza di fronte allo spettacolo fru fru della vita. «Io non ho età, diceva, sono immortale. Bloccatemi se ne siete capaci».

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