Maxi-cena in strada per socializzare tra vicini di quartiere
PORDENONE. In 200 alla prima cena di quartiere a chilometri zero: tavolata multietnica nelle vie Tiziano e Veronese, ieri sera, nel microcosmo di Borgomeduna.
Spenti tv e computer e via, tutti in strada a socializzare a stretto giro di piatto. La cena tra vicini di casa intenzionati ad abbattere i muri dell’indifferenza dei tempi moderni ha dato ritmo e gusto al dedalo delle vie intitolate ai pittori, con il piacere della socialità diffusa. Famiglie magrebine e pordenonesi fianco a fianco, nella lunga tavolata di una cena con buffet, karaoke, angolo dell’amarcord, dei racconti imbastiti come fosse un filò e della gara della torte, sempre coniugando i verbi al “noi”. Non troppo difficile, in fin dei conti, se lo si vuole davvero.
«Vogliamo conoscere i nostri vicini di casa – hanno condiviso la pasta condita con arte Paola Piccoli, Anna Roveredo e Sebastiana Nicastro, sedute vicino a Rino Figlion e amici -. E’ una bellissima iniziativa: speriamo che diventi una tradizione». Al microfono del karaoke, Fabio Hyppel ha intonato lo swing anni Sessanta a due passi dal laboratorio teatrale dell’Arlecchino errante. «E’ andato tutto bene» ha detto Chiara Buono con Giordano Feletto & C., “registi” della prima cena in strada nei quartieri cittadini.
«Sono venuti in tanti –ha proseguito la Buono descrivendo il progetto lanciato da Genius loci e Scuola dell’attore con il patrocinio del Comune di Pordenone -. Famiglie con bambini piccoli, ragazzi, anziani». In prima fila donne e bambini immigrati dall’Africa mediterranea, con le teiere di alpacca.
«Spesso nel quartiere manca l’aggregazione, tanti non conoscono i vicini di casa – ha spiegato la Buono –. Così, con il comitato dei residenti, abbiamo voluto spezzare la cortina di freddezza sociale».
Il laboratorio di convivenza è decollato. «Ripeteremo l’evento – ha assicurato il comitato della circoscrizione –. Speriamo che altri quartieri seguano il nostro esempio, a Pordenone».
Darsi una mano è quello che si deve imparare, per riuscire a resistere a questa lunga crisi. Le “strade dei pittori” hanno acceso la miccia di una rivoluzione pacifica, sociale. «Quella di rendere le vie accoglienti e vive – ha concluso Buono -, creando il benessere comune, con il senso di appartenenza e la voglia contagiosa di stare insieme».
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