Maxi consulenza, l’Ater di Gorizia risarcita
GORIZIA. Avevano promesso di trasformare l’Ater di Gorizia in un ente moderno ed efficiente sotto il profilo del controllo della qualità, della gestione delle paghe e dell’informatizzazione dei documenti. In cambio, s’intende, di un impegno finanziario di portata non meno ambiziosa: 300 mila euro per cominciare e altri 600 mila per completare l’operazione. L’affare, però, era finito in breve sotto la lente della Procura regionale della Corte dei conti di Trieste. E lo stesso Consiglio d’amministrazione dell’Ater, che dell’operazione aveva appreso a cose fatte e che della sua utilità aveva presto dubitato, aveva promosso una causa civile contro le tre società con le quali il suo ex direttore, Mauro Favari, aveva stipulato i contratti. Tutti rimasti lettera morta o quasi. Succedeva nel giugno del 2006, cioè poco più di un anno dopo l’accordo e il saldo delle prime fatture. Il verdetto del tribunale di Udine, dove il procedimento si era radicato per competenza e dove le parti si sono date battaglia per sette lunghi anni a suon di testi e consulenze, è finalmente arrivato. E per l’Ater è stata la fine vittoriosa del primo dei due round di una battaglia legale che, ora, ripartirà anche sul fronte della magistratura contabile.
La sentenza. Accogliendo la richiesta dell’avvocato Giuseppe Campeis, al quale il successore di Favari alla direzione dell’ente, Sergio De Martino, si era affidato per ottenere l’annullamento e la risoluzione dei contratti e il risarcimento del danno, il giudice unico Gianfranco Pellizzoni ha condannato Xenture srl, di Noventa di Piave, e Collmans srl, di Gorizia, alla restituzione di una parte del denaro che avevano già percepito - rispettivamente 65 mila 760 e 43 mila 190,40 euro, oltre agli interessi legali dalla data dei pagamenti al saldo - e dichiarato invece cessata la materia del contendere con Asd srl di Scorzè, nel frattempo fallita e per la quale l’Ater aveva comunque ottenuto l’ammissione al passivo per 172 mila euro. La questione resta dunque aperta alla Corte dei conti, dove era stata sospesa in attesa del giudizio civile e dove si ipotizza una responsabilità di danno erariale in capo a Favari, che quei contratti - dichiarati ora nulli - aveva stipulato d’iniziativa, all’ex presidente Adriano Zamparo e alla parte dei componenti dell’allora Cda, che con lui li avevano promossi e conclusi, autorizzandone i relativi pagamenti.
La Corte dei conti. Tre i progetti che l’Ater aveva deciso di esternalizzare, su “istigazione” - questa la ricostruzione suggerita dall’avvocato Campeis - di Maurizio Dotta, allora amministratore dell’Asd e per i quali l’ente aveva già versato circa 312 mila euro (144.846 ad Asd, 103.190 a Collmans e 65.760 a Xenture). Una “superconsulenza” che, per il viceprocuratore generale della Corte dei conti, Emanuela Pesel Rigo, avrebbe determinato «non soltanto un ingiustificato aumento dei costi in ragione dei corrispettivi assolutamente esorbitanti rispetto ai prezzi di mercato, ma anche irragionevoli duplicazioni rispetto all’attività svolta dalle risorse interne». Tanto più, considerando l’entità delle fatture che le tre società avevano in seguito inviato per saldare il conto: 579 mila 141 euro in tutto. Il caso, come si ricorderà, scatenò proteste sia dentro l’Ater, sia tra i sindacati. E fu seguito dalle dimissioni di Favari, che, certificata l’inadeguatezza dei contratti, si protestò «indotto in errore».
Contratti nulli. «L’Ater - ricorda l’avvocato Campeis nell’atto di citazione - accertò di non avere conseguito alcuna utilità e di non avere la benchè minima prospettiva di raggiungere l’obiettivo promesso. Le società, inoltre, si sono rese gravemente inadempienti agli obblighi assunti: le attività programmate sono state arbitrariamente sospese o nemmeno iniziate, i progetti promessi non sono stati consegnati e la qualità dei pochi servizi forniti si è dimostrata del tutto scadente». Da qui, la richiesta non soltanto della risoluzione dei contratti «per inadempimento» e del loro annullamento «in quanto frutto di truffa in danno all’ente», ma anche l’accertamento della radicale nullità degli stessi «per violazione delle norme sull’evidenza pubblica». E questo per due ragioni. «Oltre a non ricorrere il requisito della “nota specialità” - spiega il legale -, i contratti sono stati artificiosamente frazionati, ciascuno avendo per oggetto una parte del servizio che le società avrebbero dovuto fornire». Tutte obiezioni evidentemente condivise dal giudice, che nella sentenza ha riconosciuto come realizzato - e quindi defalcato dalla restituzione - soltanto il programma di gestione paghe appaltato alla Collmans (60 mila euro).
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