Maxifurto di barbatelle, non ci sono prove: assolti

SAN GIORGIO DELLA RICHINVELDA. Erano stati accusati di un maxifurto di barbatelle in cinque vivai. Tutti e cinque gli imputati, soci dell’azienda Mema di San Giorgio della Richinvelda, sono stati assolti per non aver commesso il fatto dal giudice monocratico Iuri De Biasi. Scagionati dalle accuse, dunque, Admirim Mema, 46 anni residente a Arba, Betim Mema, 48 anni, di Arzene, Saimir Mema 33 anni, di Arzene, Mersin Mema, 75 anni e Flamur Mema, entrambi residenti a San Giorgio della Richinvelda.
Gli inquirenti avevano raccolto le denunce dei vignaioli derubati. A Camino al Tagliamento, fra il 10 e il 29 maggio 2009 erano sparite barbatelle di Prosecco, Pinot grigio, Cataratto e Grillo, per un danno di 20 mila euro. A Codroipo, nottetempo, fra il 21 e il 22 luglio 2009, sono state sradicate piantine di Sangiovese. Diecimila barbatelle dello stesso vitigno per un valore di 7 mila euro sono sparite a San Giorgio della Richinvelda i primi di maggio da un vivaio, altre piantine sono state rubate a Rauscedo fra il 7 e l’8 maggio, mentre in un vivaio di Valvasone, il 22 maggio, sono state rubate barbatelle di Merlot.
L’accusa riteneva che fossero stati gli imputati a sradicare le piantine dai terreni dove erano state depositate per l’impianto e a piantarle, di notte, nei propri campi. Gli imprenditori derubati hanno dichiarato di aver riconosciuto le loro barbatelle, da determinati segni distintivi, in terreni ricondotti dall’accusa all’azienda Mema. Tutte le piantine sospette sono state poste sotto sequestro dagli inquirenti e non sono state poi restituite, perché nel frattempo le barbatelle sono diventate inutilizzabili.
Il collegio difensivo, formato dagli avvocati Jessica Canton, Antonella Dimastromatteo e Antonio Raffo, ha obiettato, però che gli inquirenti si sono limitati a fare una visura camerale della ditta Mema e a indagare tutti e cinque i soci, senza però provare le reali responsabilità.
«In dibattimento – sottolinea l’avvocato Jessica Canton – non è emerso a chi potesse essere attribuita la responsabilità dei fatti contestati dall’accusa. Non c’è traccia di chi possa aver commesso il furto». Da qui la sentenza di assoluzione, otto anni dopo l’avvio dell’inchiesta sulla sparizione delle barbatelle.
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