Meroi-Benet, premiata la coppia conquistatrice delle vette più alte del mondo
TOLMEZZO. Hanno concesso autografi e scambiato sorriso con tutti. Ma il pensiero più profondo degli alpinisti, Nives Meroi e Romano Benet, la coppia dei 14 ottomila, è andato al ragazzo che ha donato a Romano il midollo osseo senza il quale non sarebbe più tornato a scalare.
È stato lui stesso a sottolinearlo dedicando al suo donatore la targa appena ricevuta dalle mani della presidente della Regione, Debora Serracchiani. Il riconoscimento recita: «A Nives e Romano conquistatori pacifici e tenaci delle vette più alte del mondo».
Questo è stato il momento più intenso della giornata tolmezzina. Oltre a tagliare il nastro del campo base della Carnia, assieme al fratello di Mauro Conighi che non ha mancato di ricordare l’amore per la montagna dell’indimenticabile gestore del Flaiban Pacherini, Meroi e Benet hanno voluto condividere il riconoscimento «con tutte le persone che idealmente ci hanno accompagnato in questo percorso durato più di 20 anni».
Sono tutti coloro, ha spiegato Meroi, «che ci sono stati vicini anche nei fallimenti, che ci hanno sostenuto e incoraggiato».
I due alpinisti, pur di sostenere il rilancio della montagna, si sono raccontati al pubblico svelando anche emozioni private. Inevitabile il riferimento alla malattia, una grave forma di aplasia midollare, da parte di Benet che ha ammesso di essersi sentito una cavia in mano ai medici dell’Ospedale di Udine.
Quello di Benet è stato un plauso alla ricerca che ha aperto la strada al doppio trapianto dallo stesso donatore. «Una tecnica ora imitata in tutto il mondo».
Il suo essere cavia, però, non è uscito dal reparto ospedaliero: «In montagna – ha assicurato – non mi sento una cavia perché per me la montagna è una conquista non una cosa da combattere».
Sulle cime, l’alpinista si sente accolto, mai rifiutato. «Con la montagna parlo come se fosse qualcosa di vivo». Vent’anni fa, Meroi e Benet non avrebbero certo immaginato di riuscire a collezionare in coppia 14 ottomila.
È successo e oggi definiscono questo percorso un’esperienza di vita. «Negli anni - ha aggiunto Meroi – ci siamo resi conto che i popoli della montagna sono uniti, a tutte le latitudini, da un filo rosso e che l’ambiente forgia i suoi abitanti».
Chiaro il messaggio: «Non abbandoniamo la montagna, facciamo in modo che questo non accada». E poi l’emozione che provano quando arrivano in vetta, un pensiero difficile da tradurre perché in quei contesti «ti giri e pensi quanto lunga sarà la discesa. La conquista della vetta si metabolizza in seguito».
Raggiunto il suo obiettivo, la coppia degli ottomila guarda avanti e pur non avendo un progetto preciso sa già che tornerà in alta quota, in Oriente. Si prepara a trasmettere la passione per la montagna ai giovani anche se «la fatica non è di moda».
Meroi e Benet l’hanno puntualizzato per valorizzare la presenza nell’ultima spedizione di tre ragazzi che «con la loro passione hanno trasmesso una certa carica pure a noi. Ci ha fatto molto piacere perché in Himalaya è difficile vedere giovani».
Da qui l’invito rivolto anche a chi alpinista non è, a intraprendere nuovi viaggi perché «conoscere gente nuova apre la mente soprattutto in un periodo di tensione come quello che stiamo vivendo con i migranti. Da questi viaggi si torna a casa più tolleranti rispetto ai problemi che qui sembrano insormontabili».
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