Messa a Paluzza per ricordare Eluana. Il parroco: la sua sofferenza deve unire

Morì il 9 febbraio 2009, dopo 17 anni in coma. In Carnia la celebrazione, a Udine iniziativa pro vita con Fontanini e Kosic
PALUZZA.
Il ricordo di Eluana. La Carnia. Il gesto di raccogliersi attorno a zio Armando. Il 9 febbraio Paluzza rievoca il dramma della famiglia Englaro. Con essenzialità. Beppino non c’è, come un anno fa e due anni prima in quel 12 febbraio 2009 in cui venne celebrato il funerale di Eluana, come Armando aveva chiesto e ottenuto dal fratello. C’è, invece, la semplicità di chi partecipa al rito e delle parole di don Tarcisio Puntel: «La sofferenza deve unire, non dividere».


Durante la celebrazione il parroco di Paluzza cita Eluana solo due volte, senza alcun commento o riferimento a quella “figlia” cui due anni fa aveva rivolto parole affettuose: «Ti penseremo come una stella alpina rinata sulle rocce dopo un lungo inverno». No. Don Puntel sceglie la via della dimensione interiore e soggettiva. Nessun riferimento alle parole del vescovo Andrea Bruno Mazzocato, che pochi giorni fa ha detto: «A Udine Eluana è stata lasciata morire». Nessun cenno nell’omelia. Nessuna citazione.


Davanti alla ventina di persone raccolte nella cappella della chiesa di Santa Maria il parroco apre la messa dedicandola a Eluana, che ricorda solo un’altra volta durante la funzione. Nulla più. Scientemente. «Ho deciso così – dice don Puntel a celebrazione conclusa – ed è una scelta personale, perché la messa è un momento di riflessione. Ma anche perché la sofferenza non deve dividere, ma unire, nella ricerca di una soluzione affinché non ci sia più afflizione. E poi – conclude il parroco – perché non è bene che si faccia della sofferenza una contrapposizione ideologica».


Armando ascolta, ha accanto la moglie Lina e attorno tutti volti conosciuti di chi a Paluzza ricorda Eluana standogli vicino. Anche lo zio di Eluana ha scelto l’essenzialità. In chiesa non ci sono composizioni di fiori, come un anno fa, e ogni gesto appare più raccolto. Di certo la sensazione è che Paluzza sia lontanissima dal clamore suscitato dal caso-Englaro e dagli echi, polemiche comprese, che ancora oggi lo attraversano.


Quella di ieri, ad esempio, è stata la prima Giornata nazionale degli stati vegetativi, voluta dal governo. Una concomitanza criticata da Englaro, apprezzata da chi, come il presidente della Provincia di Udine Pietro Fontanini (Lega), ieri sera ha ripetuto: «Vogliamo dire con forza che Udine e il Friuli sono luoghi della vita, perché in tanti non hanno accettato che siano divenuti “luoghi di morte”». Vicino a Fontanini anche l’assessore regionale alla Salute Vladimir Kosic: «In questa regione non deve essere abbandonato nessuno e non si deve dimenticare che chi è in grado di farsi carico di questi sacrifici va sostenuto, incoraggiato e apprezzato».


Nell’essenzialità della Carnia, invece, il rammentare è fatto di sofferenza e rispetto. Armando stringe mani e con un sorriso ringrazia chi gli si avvicina. Poi sale al piccolo cimitero dove sono sepolti i suoi genitori, Giobatta e Iolanda, e sua nipote. Pochi minuti, il tempo di accostarsi alla lapide, accendere un lumino e restare lì, immobile, in silenzio, a guardare quella fotografia di Eluana sorridente. Ciò che pensa non lo dice, non servono le parole per cogliere la sua commozione.


«Andiamo adesso», è perentorio Armando quando lo dice rivolto a chi gli sta intorno. Come per Beppino, anche per lui il 9 febbraio 2009 è stata una liberazione. Lo dice. Lui che con Eluana aveva contatti quotidiani. Lei lo chiamava “zietto”. E per lui ogni volta che andava a trovarla, durante quei 17 anni passati in stato vegetativo, era uno strazio vederla inchiodata a un letto, alimentata artificialmente, «violata da mani altrui», come ripete sempre Beppino. Armando conferma, perché per lui il ricordo di Eluana è anche quello.


Da due anni, però, sua nipote è stata “liberata” e visto da Paluzza, da un cimitero accanto alla montagna, tra gente che rievoca senza pregiudizi, il ricordo appare più semplice, più essenziale.


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