Migliaia di messe a pagamento in Friuli: la tariffa è di 10 euro

CASTELMONTE. «La messa non si paga, i fedeli versano un’offerta di 10 euro al sacerdote che svolge un servizio. Dire che si paga è una bestemmia». Nel confessionale delle Grazie, perché è lì che abbiamo raggiunto padre Francesco Polotto, il priore della basilica spiega il significato delle parole di Papa Francesco: «La messa è il sacrificio di Cristo, che è gratuito. La redenzione è gratuita. Se tu vuoi fare un’offerta falla, ma non si paga».
Sarà pure così, ma resta il fatto che quando si prenota una messa per i vivi e per i morti, viene richiesto il versamento dell’offerta di 10 euro. Lo prevede l’accordo sinodale, definito dai vescovi, per il servizio che il sacerdote compie.
Non a caso nel santuario di Castelmonte il cartello recita: «Le offerte per le messe si ricevono qui o presso l’ufficio del bollettino. L’offerta è di 10 euro». Nella chiesa della Beata vergine si celebrano quattro messe nei giorni feriali e sei, sette nei mesi estivi, nelle festività. Sono tutte offerte dai fedeli.
L'offerta a Castelmonte
Nel giorno della festa della donna siamo saliti a Castelmonte per capire cosa intende Papa Francesco quando ripete che le messe non vanno pagate. La giornata è limpidissima e i fedeli arrivano al santuario in auto e a piedi. Si ritrovano tutti nella chiesa per la celebrazione delle 11. Qualcuno si ferma nell’ufficio del bollettino dove si prenotano le messe.
«I morti si commemorano nella celebrazione delle 9, ma fino al 26 aprile non c’è spazio». E se i morti vengono ricordati nelle date richieste dai fedeli, i vivi potrebbero essere evocati anche in Grecia perché, come ha avuto modo di chiarire padre Danilo, «con le messe non si scherza, vengono tutte celebrate secondo le intenzioni».

Non è facile capire come funziona il sistema, lo comprendiamo quando padre Danilo, alla fine dell’omelia tutta incentrata sul demonio che è sempre in agguato, ci accoglie in sacrestia. «La messa non viene pagata, chiediamo un’offerta per il sostentamento del clero. È così da almeno 50 anni, da quando avevamo tanti preti e poche messe e la Diocesi decise di istituire l’offerta per consentire ai parroci di superare la giornata.
Allora per una messa venivano versate 800 lire che nel tempo sono diventate mille, due mila, 10 mila e poi 10 euro». Fatti quattro conti, a Castelmonte, otto frati garantiscono almeno 1.600 messe all’anno. Neppure se decidessero di estendere le celebrazioni nelle ore notturne riuscirebbero a esaurire il numero delle prenotazioni.
«L’importante è che le messe non vengano ammassate in una sola, qui c’è la sicurezza matematica che tutte vengono celebrate secondo l’intenzione di chi l’ha offerta», insiste padre Danilo prima di aggiungere: «Quelle in sovrappiù le giriamo alla Curia vescovile che, a sua volta, le gira ai santuari che hanno poche messe».
In tutto il mondo, anche in Grecia? «Anche in Grecia dove vengono offerte non più di due o tre messe al mese e dove sono rimasto fino a qualche anno fa. La Chiesa si impegna a osservare le intenzioni dei fedeli, non sa in quale giorno e dove, ma garantisce la celebrazione secondo l’intenzione di chi l’ha offerta». Questo concetto viene ripetuto e chiarito al momento del pagamento.

Sul colle di Castelmonte, sotto un cielo azzurro che in quella tonalità si vede solo dopo la pioggia, le parole del Papa continuano a riecheggiare anche se non tutti i frati le hanno lette. Così assicurano. «I veri cristiani vogliono pagare. Al botteghino ai 10 euro ne aggiungono altri 15, alle volte anche 50. Il problema è delicato». Chiariscono anche che una cosa sono le offerte per le messe, altra cosa sono le offerte aggiuntive che vengono utilizzati per scopi diversi.
Tappa alla basilica delle Grazie
La messa è finita e anche noi lasciamo il santuario. Scendendo facciamo tappa alla basilica delle Grazie, a Udine. Anche qui le prenotazioni delle messe non mancano e anche qui è previsto il pagamento dei 10 euro di offerta. Il padre priore è in confessionale, gentilmente una signora ci consente di entrare e lì che padre Francesco ripete: «Non si può parlare di pagamento perché si tratta di una questione morale, non materiale. Se – aggiunge – ho un problema in chiesa e chiamo un architetto devo pagarlo, devo farlo perché è un tecnico. Nell’ambito della fede, invece, queste cose non avvengono perché quando celebro la messe mi affido al Signore e chiedo l’intercessione per diversi motivi».
E per meglio chiarire il concetto, padre Francesco ribadisce: «Dire che pago la messa è una bestemmia, la messa è una questione di fede e quindi non si può pagare. È come dire a una donna, oggi è l’8 marzo, ti pago: è una bestemmia nei confronti della donna. Il discorso della fede va infinitamente più in là proprio perché coinvolge la persona nel suo intimo, è un incontro con Dio». Anche nel santuario delle Grazie i frati celebranti sono otto: «Celebriamo tutte le intenzioni, ma quelle che superano gli otto vanno a finire in missione. Ai fedeli diciamo chiaramente “la vostra intenzione è stata detta”, qui o altrove è importante che sia celebrata».
I soldi vanno ai bisognosi
Ancora più radicale è la prassi seguita dal moderatore del Consiglio presbiterale diocesano, don Roberto Gabassi, nelle sue tre parrocchie lungo via Cividale a Udine: non ci si rivolge neppure al sacerdote, ma si scrive la richiesta di suffragio in un quaderno collocato in fondo alla chiesa e chi vuole lascia un’offerta. «Chiedere soldi per celebrare un sacramento è un peccato di simonia – ricorda don Gabassi – e in merito alle dichiarazioni del Papa aggiungo che, personalmente sgancerei le offerte in chiesa al sostegno ai sacerdoti, magari rivedendo il loro onorario se si ritiene che non sia adeguato. Oppure la parrocchia potrebbe decidere, se lo ritiene opportuno, di integrare il reddito del sacerdote».

4.000 euro ai missionari
I fedeli più responsabili conoscono le esigenze di gestione di una chiesa e sanno che ci sono costi per il riscaldamento, la luce e altro che possono essere ingenti e per le quali non ci sono altri sostegni se non quelli dei parrocchiani, ma non esiste un tariffario e nessuno va a riscuotere le offerte. Questo problema del tariffario penso riguardi altre parti d’Italia dove forse la cifra di 10 euro è messa per evitare che il prete chieda di più» spiega monsignor Carlino che di chiese ne deve gestire otto.
Monsignor Pietro Piller guida le comunità cristiane della val Tagliamento da Enemonzo fino a Sauris passando per Ampezzo e per celebrare una messa deve fare decine di chilometri: «Da noi la gente è abituata a chiedere quanto costa la messa, purtroppo. La messa non ha un prezzo, ma io con le offerte devo anche coprire le spese dell’auto, poi se qualcuno da di più domando che destinazione desidera dare all’offerta e in genere va nella cassa dei poveri». Conclude don Como: «Il vero rischio è quello di commercializzare il rapporto con Dio al di là dei soldi, un “do ut des”, io ti prego e tu mi esaudisci oppure di vendere il Vangelo o il Rosario in cambio di consensi».
Bilanci trasparenti a Pordenone
Stessa opzione che, come riportato da La Stampa, per circa 400 euro viene offerta nella basilica di sant’Antonio di Padova. «Ciò che ha detto papa Francesco è pacifico per tutti noi», premette monsignor Orioldo Marson, vicario generale e parroco di Vallenoncello: «Messa e sacramenti non si pagano né si comprano: si condividono e si vivono. Ed è realtà nei fatti e nei principi, non è una cosa nuova».
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