Minacce di morte a un notaio, poi lo stalking: doppia condanna

Inflitto in tutto un anno al padre dell’ex proprietario dell’agriturismo “Alle ortensie”. Aveva cercato di dissuaderlo dall’acquisto dell’immobile messo all’asta parlando di «contatti con la mafia»
ANTEPRIMA UDINE GENNAIO 2002 TRIBUNALE NUOVO TELEFOTO COPYRIGHT FOTO AGENCY ANTEPRIMA
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FAGAGNA. Per fargli passare la voglia di comprare l’immobile che ospita l’agriturismo “Alle ortensie” di San Vito di Fagagna, messo all’asta nel 2011, ma sul quale avrebbe continuato a vantare un diritto di godimento perpetuo, Enzo Lauzzana, 63 anni, aveva scomodato finanche suoi presunti «contatti con la mafia siciliana».

Tutto vano: l’operazione si era comunque perfezionata e l’edificio era passato dalle mani di suo figlio a quelle di un notaio udinese. Due anni dopo, le minacce erano ricominciate. Non più parole, durante i frequenti transiti davanti al portone di casa, ma un semplice gesto: il segno della croce a lui. Peraltro rivolto adesso anche al padre e alla sua compagna.

Rimasti separati, i procedimenti penali sono approdati alla medesima conclusione. Per la tentata turbativa d’asta, l’imputato è stato condannato con sentenza emessa alcuni mesi fa dal giudice monocratico del tribunale di Udine, Roberto Pecile, a due mesi di reclusione e cento euro di multa (sospesi con la condizionale) e al risarcimento di 1.600 euro di danni al notaio che lo aveva querelato.

Il giudice monocratico Paolo Lauteri, chiamato a decidere sull’ipotesi di reato di stalking - così come modificata dal pm Claudia Finocchiaro, in corso di dibattimento, dopo la riqualificazione in minacce e molestie disposta dal gip Francesco Florit nel 2015 -, ha inflitto a Lauzzana ulteriori dieci mesi di reclusione (sospesi) e disposto il versamento di complessivi 15 mila euro a titolo di risarcimento allo stesso notaio, che insieme agli altri due denuncianti si era nuovamente costituito parte civile con l’avvocato Marco Galletti.

«Sappi che i miei collegamenti sono oltre il mare, ti pentirai per quello che stai facendo e pagherai per questo»: questa la frase che Lauzzana aveva rivolto al notaio il 3 giugno 2011 e che lo aveva fatto finire nei guai. L’obiettivo, a dire della pubblica accusa, era quello di disincentivarlo a partecipare all’asta pubblica per la vendita della nuda proprietà dell’immobile. Abitazione inizialmente valutata in 600 mila euro e che era stata infine ceduta per 62 mila euro.

Il caso tornerà in aula la prossima primavera, davanti alla Corte d’appello di Trieste. «Non c’è stata alcuna turbbativa e l’immobile non aveva alcun valore, né costituiva un “affare”, attesi i vincoli e pesi, inesecutabili, che gravano su esso – ha affermato l’avvocato Giuseppe Silvestro, difensore di Lauzzana –. Sicuramente, su quanto effettivamente accaduto si farà il dovuto accertamento e si metterà a fuoco ogni tassello rispetto a quanto di effettivamente grave è fino a oggi accaduto».

Le tensioni erano riprese tra il marzo e il novembre 2013. Per ragioni che l’istruttoria ha potuto soltanto ipotizzare, Lauzzana si era presentato alla vista dei tre all’improvviso, in più occasioni, e sempre con atteggiamenti ritenuti persecutori e tali da costringerli ad alterare le proprie abitudini di vita e a installare un impianto di videosorveglianza in casa. Il gesto più ricorrente era il segno della croce, alternato a ghigni e gesti offensivi.

«Una sentenza estremamente ingiusta e che impugneremo – ha commentato l’avvocato Silvestro –. Si tratta di fatti già ragionevolmente valutati dal gip che aveva ritenuto non sussistente la fattispecie dello stalking e rispetto ai quali, comunque, non è stata assolutamente raggiunta la prova della consumazione del reato».

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