Minacce di morte a un notaio, poi lo stalking: doppia condanna

FAGAGNA. Per fargli passare la voglia di comprare l’immobile che ospita l’agriturismo “Alle ortensie” di San Vito di Fagagna, messo all’asta nel 2011, ma sul quale avrebbe continuato a vantare un diritto di godimento perpetuo, Enzo Lauzzana, 63 anni, aveva scomodato finanche suoi presunti «contatti con la mafia siciliana».
Tutto vano: l’operazione si era comunque perfezionata e l’edificio era passato dalle mani di suo figlio a quelle di un notaio udinese. Due anni dopo, le minacce erano ricominciate. Non più parole, durante i frequenti transiti davanti al portone di casa, ma un semplice gesto: il segno della croce a lui. Peraltro rivolto adesso anche al padre e alla sua compagna.
Rimasti separati, i procedimenti penali sono approdati alla medesima conclusione. Per la tentata turbativa d’asta, l’imputato è stato condannato con sentenza emessa alcuni mesi fa dal giudice monocratico del tribunale di Udine, Roberto Pecile, a due mesi di reclusione e cento euro di multa (sospesi con la condizionale) e al risarcimento di 1.600 euro di danni al notaio che lo aveva querelato.
Il giudice monocratico Paolo Lauteri, chiamato a decidere sull’ipotesi di reato di stalking - così come modificata dal pm Claudia Finocchiaro, in corso di dibattimento, dopo la riqualificazione in minacce e molestie disposta dal gip Francesco Florit nel 2015 -, ha inflitto a Lauzzana ulteriori dieci mesi di reclusione (sospesi) e disposto il versamento di complessivi 15 mila euro a titolo di risarcimento allo stesso notaio, che insieme agli altri due denuncianti si era nuovamente costituito parte civile con l’avvocato Marco Galletti.
«Sappi che i miei collegamenti sono oltre il mare, ti pentirai per quello che stai facendo e pagherai per questo»: questa la frase che Lauzzana aveva rivolto al notaio il 3 giugno 2011 e che lo aveva fatto finire nei guai. L’obiettivo, a dire della pubblica accusa, era quello di disincentivarlo a partecipare all’asta pubblica per la vendita della nuda proprietà dell’immobile. Abitazione inizialmente valutata in 600 mila euro e che era stata infine ceduta per 62 mila euro.
Il caso tornerà in aula la prossima primavera, davanti alla Corte d’appello di Trieste. «Non c’è stata alcuna turbbativa e l’immobile non aveva alcun valore, né costituiva un “affare”, attesi i vincoli e pesi, inesecutabili, che gravano su esso – ha affermato l’avvocato Giuseppe Silvestro, difensore di Lauzzana –. Sicuramente, su quanto effettivamente accaduto si farà il dovuto accertamento e si metterà a fuoco ogni tassello rispetto a quanto di effettivamente grave è fino a oggi accaduto».
Le tensioni erano riprese tra il marzo e il novembre 2013. Per ragioni che l’istruttoria ha potuto soltanto ipotizzare, Lauzzana si era presentato alla vista dei tre all’improvviso, in più occasioni, e sempre con atteggiamenti ritenuti persecutori e tali da costringerli ad alterare le proprie abitudini di vita e a installare un impianto di videosorveglianza in casa. Il gesto più ricorrente era il segno della croce, alternato a ghigni e gesti offensivi.
«Una sentenza estremamente ingiusta e che impugneremo – ha commentato l’avvocato Silvestro –. Si tratta di fatti già ragionevolmente valutati dal gip che aveva ritenuto non sussistente la fattispecie dello stalking e rispetto ai quali, comunque, non è stata assolutamente raggiunta la prova della consumazione del reato».
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Messaggero Veneto