Monte dei pegni, la banca: altri due indagati

La Cari Fvg si è opposta all’archiviazione chiesta del pm per la sorella e il padre della Di Rosa
Udine 10 Aprile 2012. Monte dei Pegni. Telefoto Copyright Petrussi Foto Press
Udine 10 Aprile 2012. Monte dei Pegni. Telefoto Copyright Petrussi Foto Press

UDINE. C’erano Giovanna Di Rosa e il suo ex marito Giuseppe Mingolla, entrambi residenti a Treviso. Ma c’erano anche Emanuela e Giuseppe Di Rosa, rispettivamente sorella e padre dell’ostetrica indicata, fin dalle prime battute dell’inchiesta sull’ammanco da oltre 6 milioni di euro al Monte dei pegni della Cassa di Risparmio del Fvg, come la principale beneficiaria delle somme sottratte in dieci lunghi anni dalla responsabile dell’ufficio, Michela Ottonello.

Il pm Barbara Loffredo, titolare del fascicolo, aveva iscritto anche loro sul registro degli indagati, ipotizzando fossero stati a loro volta compartecipi della serie di appropriazioni indebite contestate a Giovanna Di Rosa e a Mingolla e, prima ancora, alla Ottonello.

Qualche settimana fa, all’atto della notifica dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari ai due trevigiani e all’ex bancaria udinese, però, il magistrato ha cambiato rotta e chiesto, per i soli Emanuela e Giuseppe, l’archiviazione del procedimento.

«Non è emerso alcun concreto elemento di prova - aveva scritto la dottoressa Loffredo nella richiesta al gip - in ordine a un possibile loro coinvolgimento nei reati commessi da Ottonello Michela in concorso con Giovanna Di Rosa e Mingolla Giuseppe». Conclusione alla quale la Cari Fvg, assistita dall’avvocato Giuseppe Campeis, non ha affatto aderito e proposto anzi immediata opposizione.

Secondo il pm, in particolare, «il fatto che alcune delle polizze fittizie utilizzate per occultare le appropriazioni di denaro effettuate dalla cassa del Monte dei pegni, fino al 2007, fossero intestate anche ai familiari di Giovanna Di Rosa non è elemento sufficiente ad affermare una loro responsabilità nel reato di appropriazione indebita, tanto più - continua la richiesta al gip - se si considera che dalle indagini svolte è emerso che Michela Ottonello ha acceso numerose polizze fittizie utilizzando i nomi di ignari clienti» e che «le indagini patrimoniali e finanziarie svolte nei confronti di Di Rosa Emanuela e Di Rosa Giuseppe non hanno evidenziato nulla di anomalo, che possa far supporre la commissione del reato di ricettazione, in relazione alle somme oggetto di appropriazione indebita commesso da Di Rosa Giovanna».

Di ben altro avviso la banca, che, nell’opporsi, ha escluso che i componenti della stessa famiglia potessero essere ignari. «La stessa Ottonello, in interrogatorio - ricorda l’avvocato Campeis -, aveva dichiarato di avere dato normalmente le somme alla Di Rosa, una trentina di volte al marito, che le ritirava per conto della moglie ed era al corrente di quello che accadeva, e a volte anche alla sorella».

 «Ritengo - aveva affermato la Ottonello -, quale mia sensazione, che il marito e la sorella fossero a conoscenza di quanto stava accadendo”. Quanto al padre, «gli ufficiali di pg - continua il legale - hanno evidenziato “la dimestichezza con gli strumenti assicurativi».

Nell’opposizione, il difensore ha infine osservato come la Ottonello, pur non citando mai espressamente la Di Rosa, «abbia manifestato più volte come la sua insistenza fosse stata determinata, oltre che dalla precaria condizione economica, da minacce ricevute da altri di pregiudicarne l’incolumità personale».

 

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