Morì per droga a 16 anni, il fidanzato di Alice Bros in tribunale: «A portarci l’eroina gialla fu l'afghano»

L’ultima giornata di vita di Alice Bros minuto per minuto. Meno quattordici. Quelli in cui passarono di mano quei 7 grammi di eroina gialla che hanno ucciso la sedicenne di Palmanova nei bagni della stazione dei treni di Udine il 3 ottobre 2018. Ma a puntare l’indice su Jamil Shaliwal, il 25enne afghano richiedente asilo accusato di aver ceduto la dose letale ai due giovani, in tribunale è stato l’unico testimone oculare: il fidanzato della ragazzina.
Il teste chiave
Sedici anni e un’esperienza drammatica da superare. La sua testimonianza era la chiave di volta del processo per la morte di Alice. È entrato a deporre assistito dalla psicologa durante un’udienza a porte chiuse che ha visto anche sua madre abbandonare l’aula e ha parlato per quasi un’ora e mezza incalzato dal pm Andrea Gondolo che gli ha mosso alcune contestazioni mentre ricostruiva una vicenda che conta già tante versioni.
Una ricostruzione, la sua, che ha lasciato qualche cono d’ombra, ma che ha fissato un punto fermo: a procurare la droga e a consegnarla sulla scaletta del sottopasso del cavalcavia Santi Ermacora e Fortunato fu Shaliwal, che arrivò alla consegna con altre persone, ha ammesso il ragazzino. Una ventina le cessioni che avrebbe effettuato Shaliwal ai due ragazzi – singolarmente o in coppia – nell’arco del mese e mezzo precedente. All’incontro, ha precisato, quel mercoledì pomeriggio si presentarono insieme, e insieme ritirarono la dose.
Le telecamere
A seguire le mosse di Alice in giro per la città, quel giorno, sono state decine di telecamere. È stato grazie al paziente lavoro degli agenti della Squadra mobile, in aula ieri per illustrare i risultati delle indagini, che la sua giornata ha preso forma. Incrociando le immagini registrate in piazza Libertà, piazzale Oberdan, piazza I Maggio, viale Europa Unita, piazzale D’Annunzio, quelle della stazione ferroviaria, dell’autostazione e di locali come il McDonald’s, il Prix e una pizzeria sono state isolate istantanee che immortalavano Alice alle 7, quando arrivava in stazione: indossava leggins neri, una maglia bianca, una felpa scura e uno zainetto arancione. Poi, l’incontro con il fidanzato, la colazione insieme al bar e il tragitto in bus verso il Sello, dove le telecamere li immortalano insieme anche all’uscita.
Alle 13.21 riappaiono nella zona della stazione, comprano un trancio di pizza e, dopo aver incontrato altri giovani, si separano. E mentre lei accompagna un’amica al Prix, lui si ferma all’incrocio fra via Roma e viale Europa Unita dove avviene l’incontro con un uomo. Per l’accusa, quell’uomo è Jamil Shaliwal. Sono le 14.16, i due si parlano brevemente e si separano, il ragazzino attende alla stazione. Jamil viene ripreso nuovamente alle 14.29 mentre esce dal sottopasso di via Cernaia e due minuti più tardi il ragazzino chiama Alice che, nel frattempo, lascia l’amica e si incammina nella stessa direzione. Da quel sottopasso i due ragazzi riemergono insieme alle 14.43; un minuto più tardi lui entra in bagno, lei lo segue alle 14.45 per non uscirne più.
Il ritrovamento
A riferire al collegio dei giudici presieduto da Paolo Alessio Vernì (Carlotta Silva e Giulia Pussini a latere) le fasi successive è stato un agente della sezione udinese della Polfer, allertato alle 17.30 di quel giorno. Entrato nei bagni, trovò il corpo di Alice supino sul pavimento, lo zainetto e la sua scarpa da ginnastica qualche metro più in là. Lei aveva gli occhi sbarrati. Il cuore era fermo. Dopo 15 minuti di massaggio cardiaco e tre cicli di defibrillatore la ragazza fu dichiarata morta alle 18.30. Nel frattempo, il personale Polfer aveva notato la presenza del fidanzatino, chiuso nel bagno a fianco, che piangeva disperatamente.
I punti fermi
«Le dichiarazioni del ragazzo oggi hanno lasciato più ombre che luci – ha commentato al termine dell’udienza l’avvocato Giovanni De Nardo, difensore di Shaliwal. Sono tanti i dubbi che dovranno essere approfonditi e per questo sarà necessario risentire il ragazzo». Non la pensa così l’avvocato di parte civile Marco Cavallini, per il quale dall’udienza «è emerso pacificamente che a cedere lo stupefacente è stato l’imputato, autore di una ventina di cessioni». Si tornerà in aula giovedì 20. Altre udienze sono state fissate con cadenza ravvicinata: l’obiettivo è arrivare alla discussione già l’11 luglio. Nel frattempo, sono state acquisite le annotazioni della corrispondenza telefonica e messaggistica fra i due ragazzi che si accordavano per procurarsi le sostanze stupefacenti.
I dubbi
La prima fase del dibattimento ha messo in luce alcuni passaggi chiave della vicenda, ma le zone d’ombra restano. La prima riguarda gli accadimenti compresi fra le 14.45, quando Alice entrò nel bagno della stazione, e le 17.15, quando il ragazzino, dopo essere svenuto, la trovò esanime. E ancora, non è chiaro come mai una ragazzina destrorsa che, come dicono i familiari, aveva paura degli aghi riuscì a bucarsi al braccio destro. Né si capisce perché nello scarico della turca sia stata individuata una sola siringa, e che fine abbia fatto il cucchiaio utilizzato da Alice
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