Morta l’ex europarlamentare Dacia Valent

Aveva 52 anni. Suo fratello fu ucciso a 16 anni da due compagni a Udine in un sottoscala in via Cicogna nel 1985 perché era nero

UDINE. Una vita di luci e ombre quella di Dacia Valent, l’ex europarlamentare morta giovedì a Roma all’età di 52 anni che aveva vissuto la sua giovinezza a Udine. Figlia di un diplomatico friulano addetto all’ambasciata di Belgrado e di una principessa somala, Dacia Valent era nata a Mogadiscio.

Dopo aver viaggiato in vari Paesi si trasferì a Udine nel 1980. Èd è proprio a Udine che Dacia udì un lacerante grido di morte che si levò da una stamberga in via Cicogna dove il 10 luglio 1985 fu trovato il corpo massacrato di suo fratello Giacomo, appena sedicenne. Ad attirarlo in un agguato “per dargli una lezione” erano stati due liceali udinesi, un quindicenne e un sedicenne con una nota propensione per i simboli e i libri nazisti, tanto da esibirli perfino in classe.

Il più giovane dei due lo colpì ripetutamente. Giacomo morì in un sottoscala, trafitto da 63 coltellate. Il suo corpo fu coperto da stracci e giornali abbandonato in quella casa fatiscente. Ai giudici i ragazzi dissero che Giacomo «era negro e meritava una lezione».

La madre di Dacia morì qualche mese dopo dal dolore. L’autore materiale di quel delitto fu condannato a 17 anni e mezzo in primo grado, in secondo grado ne ebbe due in meno e la Cassazione confermò quella condanna, in effetti il ragazzo lasciò il carcere cinque anni dopo il delitto, il complice uscì prima di lui.

Dacia, nel frattempo, si era sposata in Friuli ed era diventata madre. Era entrata nella Polizia di Stato, fu inizialmente assegnata a una stazione di polizia a Milano, quindi al servizio scorte. Nel 1989, durante il servizio in pattuglia Valent affermò che un ubriaco l’aveva insultata con commenti razzisti e presa a pugni. «Sporca negra, stronza» le disse. Capì di essere sola quando i colleghi non intervennero in sua difesa.

Cominciò così la sua battaglia, diffusa dai media. E la sua storia che commosse l’Italia rimbalzò dalle pagine dei giornali all’europarlamento.

Fu il Pc di Achille Occhetto, che la appoggiò, a candidarla al Parlamento europeo dove fu eletta con circa 76 mila preferenze. «La ricordo come una persona solare ed estroversa - racconta l’ex deputato dei Ds Elvio Ruffino –, era una donna elegante, l’ho conosciuta in maniera casuale e abbiamo organizzato insieme qualche iniziativa durante la campagna elettorale. Era una persona molto impegnata nelle tematiche dell’integrazione, fu candidata dal Pci e divenne europarlamentare poi svolse il suo impegno europeo in maniera non corrispondente alle nostre aspettative. I suoi rapporti con il partito e anche con la città di Udine, in seguito, vennero interrotti».

A Strasburgo Dacia Valent ha fatto parte della Commissione giuridica e per i diritti del cittadino, della Commissione per le libertà pubbliche e gli affari interni, quindi dell’Assemblea paritetica della convenzione tra gli Stati dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico e la Cee. Quando però il Pci si sciolse non aderì al Partito democratico della sinistra, ma si iscrisse a Rifondazione Comunista, dalla quale poi fu espulsa. Le sue esternazioni su Israele pubblicate sul settimanale Avvenimenti, le costarono l’isolamento.

Cominciò così la parabola discendente della sua esistenza, trascorsa a Roma. Al suo tentativo fallito di correre per un seggio con il partito di Alleanza Nazionale seguì la candidatura alle elezioni europee con la lista di Antonio di Pietro nel 2004 quando raccolse 583 preferenze, senza essere eletta.

Intanto erano arrivati i guai giudiziari. Nel luglio 1992 Dacia aveva fondato Score, un’organizzazione non governativa. Come presidente di Score nel 1995 sostenne le accuse di un gruppo di donne somale contro la Cgil, ma finì per essere condannata per diffamazione. Nel 1995 fu arrestata per il tentato omicidio del compagno. Storie di violenze domestiche e disavventure giuridiche la travolsero in una spirale discendente. Dopo la sua conversione all’Islam fondò un’organizzazione chiamata Islamic Anti-Defamation league che organizzò supporto e consulenza agli islamici che volevano segnalare problemi di abuso basato sulla discriminazione religiosa.

«Amo la pace e i poveri – sostenne un giorno –. Credo nell’aldilà, nella fratellanza e nel Dio universale». Lo disse quando abbandonò il cristianesimo e decise di convertirsi all’Islam.

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