Mortegliano, l'umanità di quel saluto a distanza con gli anziani: così figli e parenti leniscono le paure di chi è in casa di riposo

Mortegliano. «Guarda, è tuo figlio! È venuto a trovarti! Ha la mascherina, ma senti che ti sta salutando?». L’operatrice dentro lo scafandro bianco alza la mano dell’anziana per aiutarla a fare “ciao” con la mano e a mandare un bacio in punta di dita. La nonnetta ha un po’ di smarrimento con tutte queste novità, ma poi riconosce la voce del figlio, sorride e infine risponde. Una scena da far sciogliere il cuore, dopo quasi un mese di separazione.
È apparso dunque un raggio di sole sulla casa di riposo di Mortegliano, non solo meteorologicamente, vista la giornata limpida di ieri: la struttura, colpita da 17 decessi e da molti contagi anche fra gli operatori, apre alle visite dei parenti, fatto inusuale fra i centri assistenziali di tutta Italia in queste settimane. In tutta sicurezza e senza abbracci, certo, ma una parte degli assistiti ieri ha cominciato a poter di nuovo vedere un familiare, anche se per pochi minuti. Dopo tanto dolore e ansia, emozione e gioia ha suscitato l’iniziativa, che si realizza grazie alla disponibilità del personale interno e dei volontari della protezione civile, e che continuerà anche oggi e domani per altri turni di visita.
È stato un suggerimento dello staff medico quella di far vedere un parente, non in videochiamata ma finalmente faccia a faccia sebbene a distanza, per rassicurare i nonni del fatto che non stanno vivendo in un incubo e che la vita normale continua. Il rischio infatti è che un mese senza visite, in persone anzianissime e sofferenti, possa indurre stati di depressione, col rischio di compromettere una situazione già delicata.
Così si è deciso di aprire: per ciascuno di 13 ospiti ieri aprile un parente per assistito, uno solo, dotato di dispositivi di sicurezza personale quali mascherina e guanti, è stato accompagnato dalla protezione civile nell’area scoperta dell’edificio, dove ha potuto vedere il proprio caro, che a sua volta si è avvicinato all’uscio vetrato della struttura con l’aiuto di due fisioterapiste, che hanno fatto la spola tra i reparti e il piano terra. Quattro metri la distanza fra assistito e parente, delimitata da transenne.
Del tutto bardati, con tuta integrale e doppia mascherina, sia le due operatrici che gli otto volontari del gruppo comunale di protezione civile, compreso il coordinatore Renato Campese. In mattinata dieci ospiti dal reparto dove sono ricoverati gli ospiti negativi al coronavirus hanno potuto incontrare un parente, nel pomeriggio il percorso attrezzato è stato spostato dalla protezione civile in un’altra ala dell’edificio, dove con le stesse modalità si sono potuti parlare alcuni anziani positivi asintomatici con il rispettivo familiare.
Il sindaco, Roberto Zuliani, ha fatto un sopralluogo all’inizio delle visite: «Un momento di serenità per sollevare queste persone –– commenta –-. Il lavoro e l’impegno sono niente di fronte a tanti decessi».
Zoppola. Due anziane morte con il coronavirus, altri ventidue ospiti e otto dipendenti positivi. Sono giorni complicati, densi di timori, quelli che si stanno vivendo alla casa di riposo di Castions di Zoppola. La struttura della fondazione Micoli Toscano, dove risiedono oltre cento anziani non autosufficienti, è quella più duramente messa alla prova nel Friuli Occidentale: una situazione al limite che dirigenti, amministrazione comunale e azienda sanitaria stanno cercando di gestire con uno sforzo sinergico. Intenso, difficile, in un contesto che potrebbe mutare di ora in ora: la preoccupazione è l’elemento di fondo in una quotidianità che si specchia nell’emergenza. Arginare il virus, evitare altri decessi: non può che essere questa la strada da seguire anche a Castions.
Le porte della Micoli Toscano si sono chiuse domenica 8 marzo: stop alle visite dei parenti. Da allora due esistenze si sono interrotte. Anna Gambarin se n’è andata a 101 anni il 26 marzo, lunedì è scomparsa a 98 anni Iolanda Nardin. Accomunate dal luogo dove hanno trascorso gli ultimi anni, probabilmente da giornate condivise, legate dall’impossibilità delle famiglie di rivolgere loro l’ultimo sguardo.
Il dolore è il filo conduttore dell’emergenza coronavirus, il dolore di una persona che se ne va sola, quello di chi rimane e si chiede perché il destino ha voluto così, ha deciso di cancellare il commiato definitivo. C’è una quotidianità dolorosa e ce n’è un’altra che impone strategie, metodi per far fronte al nemico.
Nella casa di riposo di Castions si vive in trincea: gli operatori hanno paura, non potrebbe essere altrimenti, ma continuano a lavorare. Lo fanno con dedizione e spirito di servizio, ma il fantasma che potrebbe bussare è sempre lì, a turbare le menti. Un nemico arrivato da fuori, che dentro ha trovato terreno fertile. È cresciuto, si è espanso: oggi sono cinque gli anziani ricoverati in ospedale a Pordenone. Il presidente Bruno Ius e il direttore Ludovico Cafaro hanno disposto un piano di redistribuzione dei posti letto, strutturando un reparto per gli ospiti positivi e uno per i casi sospetti. «La situazione è molto complicata», ripete da giorni Ius. E Cafaro sottolinea «la disponibilità e devozione del personale». Accanto a loro c’è il sindaco Francesca Papais, che ha messo in campo uno sforzo considerevole per fare il possibile affinché l’avanzata del nemico sia arginata.
Nell’annunciare la scomparsa di Anna e Iolanda, Papais ha evidenziato la complessità di quello che sta accadendo a Castions. Riflessione che si accompagna all’amarezza: «Sono giornate tristi», ha detto quando le due ospiti sono mancate, evidenziando che l’impegno del Comune è considerevole («continueremo a dare alla fondazione il massimo supporto, anche mettendo a disposizione dei dipendenti che ne avessero bisogno un immobile comunale»).
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