Morì in un incidente, lo sfogo dei genitori: «Giustizia per Matteo, abbandonato nel canale»

A quasi un anno dalla morte del 20enne gemonese la vicenda approda in tribunale: il 19 febbraio 2024 l’auto sulla quale Pittana viaggiava come passeggero uscì di strada finendo nel Ledra

Sara Palluello
I soccorsi nel luogo dove l'auto era finita in acqua e, a destra, Matteo Pittana
I soccorsi nel luogo dove l'auto era finita in acqua e, a destra, Matteo Pittana

L’incidente, il silenzio, la richiesta di giustizia della famiglia per la morte di Matteo Pittana.

È passato meno di un anno da quel tragico 19 febbraio 2024 che si è portato via la vita del giovane gemonese, poco più che ventenne, a pochi passi da casa.

Per la famiglia e gli amici di Matteo quanto accaduto ha contorni indefiniti e strazianti. Secondo le indagini coordinate dalla Procura, Ludovico Piva, il conducente della Bmw 320, risultò in stato di ebbrezza alla guida di un’auto priva di assicurazione.


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Quella drammatica notte l’auto uscì di strada in via della Turbina, a Gemona, e volò per 13 metri sopra il canale Ledra, schiantandosi contro la spalletta del canale, per poi inabissarsi capovolta. A bordo del veicolo, si trovavano anche Worge De Prato, di Trasaghis, seduto nel sedile anteriore e Matteo Pittana nel sedile posteriore, con cinture allacciate. Piva e De Prato riuscirono a salvarsi con ferite lievi e abbandonarono l’auto. Matteo morì.

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Nel riquadro in basso a destra Oreste Simeoni. Nella foto Matteo Pittana, 20 anni, morto nell'auto finita nel canale

L’udienza preliminare è fissata per lunedì 27 gennaio in tribunale. Per il giovane che era alla guida dell’auto, accusato di omicidio stradale, si profila la strada del patteggiamento, un’ipotesi che i genitori di Matteo non riescono ad accettare. «È un mistero perché i due giovani abbiano omesso, fino all’ultimo istante possibile, di essere stati coinvolti in un incidente, non abbiano voluto che fossero chiamate le forze dell’ordine o un’ambulanza e non abbiano rivelato la presenza di Matteo nella vettura – sostengono Luca e Rosita Pittana –. Quando i carabinieri li hanno trovati sul ponte di Braulins, lontani dal luogo dell’incidente, bagnati e feriti, i ragazzi hanno detto di essersi tuffati per scommessa».

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Matteo Pittana aveva vent’anni (qui con la divisa del Gemona Basket); al centro e a destra due momenti del recupero dell'auto

Piva e De Prato hanno taciuto fino a quando in piena notte, a due ore dall’incidente (alle 3. 15), il corpo del ragazzo intrappolato in auto fu trovato dai pompieri, chiamati a intervenire per l’estrazione del veicolo incidentato, che pensavano vuoto.

L’autopsia stabilì che Pittana morì sul colpo, ma per i familiari rimane inspiegabile perché i due amici, che non potevano saperlo, abbiano taciuto, abbandonandolo al suo destino.

Era stato proprio il sindaco Roberto Revelant, durante il funerale, a pronunciare parole di riflessione: «Dobbiamo ristabilire l’insostituibile ruolo che ciascuno di noi assume nella società e, con responsabilità, chiederci ogni giorno quale ulteriore contributo ognuno di noi possa dare per migliorare la vita».

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Per i familiari rimangono aperti quesiti che pesano come macigni: come hanno fatto i due ventenni a uscire illesi dal canale, da un veicolo inabbissato, dopo aver impattato ad una velocità di almeno di 90 km/h orari? È possibile omettere la presenza di una persona coinvolta, viva o morta che sia?

La famiglia chiede un processo che riconosca la gravità dei fatti, non solo per quanto accaduto prima e durante l’incidente, ma anche per il silenzio che ne è seguito. «La battaglia per Matteo è quella di un intera comunità che richiede chiarezza – conclude la famiglia –, convinta che la vita umana non vada mai ignorata o nascosta, perché il silenzio è complice dell’ingiustizia».

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