Mostro di Udine, spuntano nuovi reperti: chiesta la riapertura di due casi irrisolti

L’avvocato Federica Tosel ha presentato istanza in Procura per gli omicidi di Maria Luisa Bernardo e Maria Carla Bellone



Un profilattico usato, qualche capello e un mozzicone di sigaretta. È in questi tre reperti che potrebbe nascondersi la verità sul “mostro di Udine”. E cioè sull’uomo, o gli uomini, che dal 1971 al 1989 terrorizzarono il Friuli con una lunga scia di omicidi di donne, per lo più prostitute, rimasti insoluti. Cold case, quindi, che le nuove frontiere investigative, forti di tecnologie avanzate impensabili negli anni Settanta e Ottanta, potrebbero contribuire a “sbrinare” e risolvere.

A crederci e chiedere alla Procura di Udine la riapertura delle indagini per due dei tredici efferati delitti (sui quindici del genere compiuti in quel lasso di tempo), a suo tempo archiviati senza aver potuto dare un nome e un volto al killer, sono stati i parenti di Maria Luisa Bernardo, trovata morta il 22 settembre 1976 in una strada secondaria di Moruzzo, e di Maria Carla Bellone, il cui cadavere fu rinvenuto il 19 febbraio 1980 nelle campagne di Pradamano. Ieri, l’avvocato Federica Tosel, cui entrambe le famiglie si sono rivolte, ha depositato la relativa istanza, chiedendo l’espletamento di accertamenti tecnici sui reperti conservati nei rispettivi fascicoli processuali, che lo stesso legale aveva avuto occasione di consultare qualche tempo fa, nell’ambito di una collaborazione con l’emittente “Crime + Investigation” (che alla vicenda ha dedicato una mini serie, in onda su Sky alla fine del prossimo mese di maggio).

Nel caso della Bernardo, il sopralluogo dell’auto in cui era avvenuta l’aggressione aveva evidenziato sul pavimento, davanti al sedile anteriore destro, «un profilattico scartocciato contenente materiale semiliquido biancastro» e, su entrambi i sedili anteriori, «alcuni capelli, di colore bruno» e «un capello biondo sul golf posto sul ripiano dietro il sedile posteriore». I reperti erano stati analizzati, «ma – rileva il legale – con le tecniche e la tecnologia dell’epoca». L’esito, va da sè, era stato negativo. Altrettanto dicasi per il mozzicone di sigaretta custodito invece nel fascicolo della Bellone. «Al di là delle possibili questioni sulla conservazione dei reperti – scrive l’avvocato Tosel –, appare doveroso verificare se, su ciò che è stato repertato all’epoca, sia oggi possibile, per esempio, identificare un Dna comune o materiale biologico di soggetti nel tempo coinvolti in ulteriori delitti».

A suggerire la pista di un’unica “firma” per almeno tre omicidi, nel 1995, fu la consulenza nella quale il medico legale Carlo Moreschi evidenziò come, una volta sgozzate, le donne fossero squartate con un bisturi. Il taglio, fatto correre dal petto al pube senza passare per l’ombelico, fu lo spunto che mise i carabinieri sulle tracce del medico sorpreso a pregare a voce alta vicino alla chiesa di San Bernardo, la notte del 26 febbraio 1989, quando sul greto del Torre fu trovata l’ultima vittima, la maestra Marina Lepre. A carico dell’uomo, un 60enne, non furono però trovati elementi in grado di raggiungere il rango di prova certa. E al decreto di archiviazione seguì, qualche anno dopo, il suo decesso.

Da allora, la magistratura inquirente ha riaperto i giochi in più momenti. Sarà così anche questa volta. «Valuteremo il da farsi – ha detto il procuratore Antonio De Nicolo –. Per prima cosa, riesumeremo le carte e le faremo confluire in un nuovo fascicolo per omicidio a carico di ignoti». –

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