Movida vecchio stampo Da Smaila alla Carrà: quando il Papi era la casa della media borghesia

La cittadella del divertimento apre nel 1974, il boom negli anni Ottanta Pullman navetta, feste all’aperto, serate per fasce di età, musica disco 

LA STORIA

ENRI LISETTO

Erano gli anni Ottanta e il Papillon – per tutti, il Papi – era “la” discoteca tra le discoteche, il cuore della movida pordenonese e non solo. Chi ci andava era considerato automaticamente benestante o comunque amico di benestanti, di un certo livello, si diceva allora, «bella gente». Lì, in via XX Settembre, a Roveredo in Piano, ci entravano “i grandi”, quelli che avevano almeno 25-30 anni, magari un po’ snob, ma non certo eccessivamente esuberanti. Nemmeno il livello minimo del “su di giri” era ammesso, di conseguenza, no liti o risse. Sarebbe stato un disonore – quando l’onore aveva ancora un certo valore – scendere così in basso.

La discoteca Papillon nasce nel 1974, ma è negli anni Ottanta che diventa il primo locale “mondano” della Destra Tagliamento: a lanciarlo e a renderlo grande è l’imprenditore di Codroipo Aldo Fassetta. Coglie le tendenze del momento, abbina la musica disco di qualità alla clientela selezionata. Gente che non dà e non vuole noie, gente che, negli anni del boom, vuole solo divertirsi al termine di una settimana di lavoro.

La “linea artistica” del Papillon prosegue col primo cambio di gestione. Dal 1994 al 1997 prende le redini del locale alle porte di Pordenone Franco Maritan, altro profondo conoscitore del mondo della notte e della musica. Gestisce pure il Venus di Lignano e il passaggio di testimone non provoca scossoni.

Arrivano gli anni di Luca Calenda, imprenditore pordenonese impegnato anche nell’Ascom. Dal 1997 la firma sulle varie stagioni musicali è sua. Come sua è l’idea, pionieristica in Friuli, di sdoppiare il locale: d’inverno al chiuso, d’estate all’aperto. Siamo nel 2001, gli anni del “Papi on the beach”: musica, ombrelloni, piscina, cocktail sotto le stelle. «Era la soluzione per chi non andava al mare», ricorda colui che nel 2011 ha lanciato la catena Galium, primo della dozzina di locali a Vittorio Veneto, l’ultimo nato proprio a Pordenone.

Luca Calenda vuol dire prima disco all’aperto, ma anche prima festa in piazza. Appeso al muro conserva ancora il ringraziamento dell’allora sindaco Alfredo Pasini e del vice Massimo Lionello perché, assieme al team di Tpn Radio, aveva lanciato il “Capodanno in piazza”.

«La clientela era di un certo livello e selezionata. Diciamo – analizza Calenda – che oggi è tutto molto più difficile. Etnie, religioni, usi e costumi odierni non permetterebbero, probabilmente, di replicare ciò che si faceva in quegli anni. Ma c’era sicuramente molta più educazione».

Da davanti al bar Posta di Pordenone partivano i pullman, fuori dalla cittadella della movida si formava coda di auto a caccia di un parcheggio sotto i pini marittimi.

Nel cuore della movida cuscinetto tra Veneto e Friuli ecco i grandi nomi laddove si ballavano musica house e disco degli anni Ottanta e Novanta. Attori, cantanti, soubrette, artisti rinomati. Da Umberto Smaila a Jerry Calà sino a Raffaella Carrà, per citarne tre. Ma pensate a un nome di allora e quasi sicuramente ha firmato l’album d’onore di via XX Settembre.

Papi significava weekend: il venerdì dedicato agli over 30, il sabato ai più giovani e la domenica mista, apertura e chiusura anticipate perché il lunedì o si andava a lavorare o si andava a scuola.

Valore aggiunto del complesso della movida di allora era il ristorante “al Pescatore”. Pure quello era “il” ristorante, l’eccellenza del pesce, gestito per ben 25 anni da Sergio Franco, ora a Villa Monica di Prata.

E siamo al 2009. Cambiano le gestioni e il complesso della movida registra alti e bassi, un po’ di cronaca e meno musica.

Sono gli anni delle proteste dei cittadini per il volume alto della musica, quelli della sperimentazione di una linea country, della chiusura prolungata. Giugno 2012, il sindaco, dopo i sopralluoghi di Nas e vigili del fuoco, fa mettere i sigilli al locale per presunte irregolarità in materia di norme sulla sicurezza.

Un imprenditore albanese “cade” su un cartello: «L’italiano non entra se non accompagnato da una donna». Dice che è un «malinteso». Convocato in questura, gli dicono come funziona da noi e le porte si riaprono a tutti.

Il locale rimane sfitto, nel 2015 ospita la lap dance per il tempo di una stella cadente.

La cittadella della movida è risorta la scorsa primavera: ristorante e discoteca, nuova gestione. In 40 anni sono cambiati usi, gusti e costumi. Dilagano reggaeton e dintorni. L’epoca della disco dance va in archivio. —



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