Nadia Orlando uccisa dal fidanzato perchè ha osato ribellarsi

Udine, depositate le motivazioni della sentenza di condanna a 30 anni di Mazzega. Ha voluto punirla per il modo in cui l’aveva trattato alla sagra di Vidulis

UDINE. Aveva osato ribellarsi al suo volere davanti a tutti e lui, due giorni dopo la lite, di fronte alla decisione della ragazza di troncare il loro rapporto, gliel’ha fatta pagare uccidendola. Nadia Orlando è stata soffocata da Francesco Mazzega per questo.

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Udine 11 Luglio 2018. Processo Mazzega. Mazzega all' uscita dopo la sentenza. © Foto Petrussi

«Punita – si legge nelle motivazioni della sentenza con cui, lo scorso 11 luglio, è stato condannato a 30 anni di reclusione – per la disobbedienza manifestata al fidanzato nell’avere voluto rivendicare il suo diritto di partecipare all’impegno della sagra di Vidulis in compagnia delle amiche e, soprattutto, per avergli ribadito, la sera del delitto, la ferma volontà di porre fine alla loro relazione».

È un quadro che non lascia spazio alla fantasia quello ricostruito dagli inquirenti - gli agenti della Squadra mobile coordinati dal vicequestore Massimiliano Ortolan - anche attraverso la marea di chat, messaggi, email e lettere manoscritte dall’omicida e conservate dalla vittima nel corso dei dodici mesi della loro storia.

Una sorta di “scatola nera”, in grado di attestare non soltanto l’atteggiamento possessivo dell’uomo, ma anche lo stato d’animo con cui, la sera del 31 luglio 2017, si presentò davanti alla casa di Vidulis in cui la giovane abitava con la famiglia.

Le aveva chiesto di incontrarla per «provare a superare questo momento». Ma dalla Yaris su cui la giovane salì, tra le 21.30 e le 22.30, non sarebbe più uscita viva.

Premendole forse un cuscino sul viso per un numero interminabile di minuti, Mazzega, che all’epoca aveva 35 anni e risiedeva da solo a Spilimbergo, spense ogni sogno di Nadia, che di anni ne aveva invece soltanto 21. Poi, vagò fino alle 9 del mattino successivo con il cadavere in auto, prima di costituirsi alla Polizia stradale.

Accogliendo in toto le richieste del pm Letizia Puppa, il gup del tribunale di Udine, Mariarosa Persico, aveva inflitto all’imputato la più alta delle pene previste in caso di celebrazione del processo con rito abbreviato: 30 anni, appunto, oltre al risarcimento dei danni alle parti civili, i genitori, Andrea Orlando e Antonella Zuccolo e il fratello Paolo (tutti assistiti dall’avvocato Fabio Gasparini).

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Niente attenuanti generiche, quindi, diversamente da quanto sollecitato dai difensori, gli avvocati Federico Carnelutti e Annaleda Galluzzo, e che avrebbero garantito a Mazzega uno sconto importante (in aggiunta alla diminuente prevista dalla scelta del rito, che gli ha permesso di evitare l’ergastolo).

Per il giudice, Mazzega non le ha meritate per almeno tre ordini di ragione: «la gravità dell’offesa», avendo convinto Nadia a uscire «avvalendosi del forte ascendente esercitato per la differenza d’età e la soggezione nel rapporto di lavoro (erano colleghi alla “Lima” di Villanova di San Daniele, ndr)», «la sofferenza patita dalla vittima durante il soffocamento» e «il dolo intenzionale usato (la ragazza aveva cercato di allontanarne le mani dal volto, ndr) e la futilità del motivo, sproporzionato e abietto, in quanto espressivo di un’inutile rivalsa verso una persona non più amata».

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Dignano 2 Agosto 2017. Striscione per l' omicidio a Vidulis. © Foto Petrussi


Ed è stato proprio il riconoscimento dell’aggravante del «motivo abietto e futile», contestata nel capo d’imputazione e che la difesa aveva tentato di smontare nella discussione in aula, a fare la differenza nel calcolo della pena.

Per motivarne la sussistenza, il giudice ha innanzitutto sgomberato il campo dall’equivoco che avrebbe potuto ricondurre l’omicidio a un raptus di cieca gelosia (stato passionale che, per giurisprudenza consolidata, non basta a configurare tale aggravante).

E, ricordando come per motivo futile debba intendersi «l’antecedente psichico della condotta, ossia l’impulso che ha indotto l’agente a delinquere», ha individuato l’aggravante «nel proposito di punizione della vittima, considerata un bene di propria appartenenza», escludendo essersi trattato invece di «quella sorta di passionale disperazione discendente dall’innamoramento».

Un «incontrollato desiderio di possesso», quindi, montato nel tempo - una volta la strattonò per strada, provocandole lividi a un braccio - ed esploso dopo la sagra, dove, esasperata per i suoi appostamenti, Nadia lo aveva invitato a tornarsene a casa. Un tragico affronto pagato con la vita.
 

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