«Nel centro di Milano con 700 pecore»

Il regista Marco Bonfanti presenta mercoledì sera al Visionario di Udine il film “L’ultimo pastore”, già cult in mezzo mondo
Il gregge di pecore utilizzato per le riprese di una scena del film "L'ultimo pastore della citta'" passegiano in piazza Duomo, 1 ottobre 2011. ANSA/DANIEL DAL ZENNARO
Il gregge di pecore utilizzato per le riprese di una scena del film "L'ultimo pastore della citta'" passegiano in piazza Duomo, 1 ottobre 2011. ANSA/DANIEL DAL ZENNARO

Non è che uno le cose se le va sempre a cercare, anche perché le più succose se ne stanno nascoste. Guarda caso. Senza volerlo te le ritrovi davanti, come quando apri un armadio per agguantare un maglione e spunti dentro Narnia. Per dire. Lui, Marco Bonfanti, non è felicissimo di avere soltanto trentadue anni. Quando ne compirà cinquanta, capirà. Motivo comprensibile il suo, peraltro. «Vedono un regista ragazzino e la credibilità crolla subito. Qualche capello bianco aiuta. Almeno nell’impatto. Se vai a vedere in America i due di Google hanno venticinque anni. In Italia, però...».

Preoccupazioni ormai stracciate, dai. Marco si è fatto notare eccome. “New York Times”, “Le Monde”, insomma, mica il giornaletto della parrocchia dietro casa. I cronisti lo stavano aspettando, quella mattina. All’alba. Sapevano dell’impresa. Il pastore Renato Zucchelli con le sue settecento pecore a scivolare silenzioso per il centro di Milano direzione piazza Duomo, con alle spalle il Bonfanti munito di cinepresa. E vien fuori un lungometraggio già cult in mezzo mondo, “L’ultimo pastore”. Stasera, mercoledì, alle 21.15, passerà per il Visionario. Ci sarà Bonfanti in carne e ossa, fra l’altro.

- Senta, ma come ha scovato ’sto fenomeno che porta a spasso le sue pecorelle per Milano?

«Qualcuno me lo disse: sai, c’è un tizio con un gregge alla periferia della città. Ne ha 1500 di bestiole. Con la moglie gestisce un’azienda che macina attivo, di questi tempi è una rarità. Mah, pensai. Certo, la fonte era attendibilissima per cui avviai il cervello».

- Tra l’altro lei non ha mai fatto un film vero prima di questo, a parte cortometraggi di successo.

«Non è un mondo agibile, il cinema. Fatichi a trovare i soldi, fatichi a girare, fatichi a uscire in sala, fatichi sempre. I due corti sono piaciuti, i festival se li sono presi, si affastellano i premi, insomma, ha cominciato a girare il destino giusto».

- Quindi decide di scovare il pastorello.

«Un chiodo fisso. Tutti lo conoscono, ma pochi lo vedono. S’aggira per la periferia più verde a ore assurde del mattino, poi sparisce. Lui e le sue 1500 pecore. Finalmente Renato Zucchelli è seduto di fronte a me davanti a un bicchiere. Parliamo. E se la sua curiosa storia finisse in una pellicola? Azzardo. “Non saprei, devo chiedere alla mia signora”, mi dice. Aspetto. La consorte acconsente, meno male. E si parte con l’operazione».

- Oltre allo stupore, qual è il senso sommerso, Bonfanti?

«La dimensione del sogno. Se vuoi è possibile. Chi l’avrebbe mai immaginato che settecento pecore avrebbero pascolato in piazza Duomo a Milano? Nemmeno il più infallibile degli indovini, guardi. Eppure è successo. E dimostrare quanta poesia si è persa con la modernità».

- Perdoni: si è intrufolato abusivamente o con regolare permesso?

«No, no, col permesso in tasca firmato dal sindaco. Li ho convinti».

- Nessuno doveva sapere, però i cronisti dei più celebrati quotidiani la stavano aspettando.

«Le voci circolano, evidentemente. Quella mattina c’era pure una folla pazzesca per la prima messa del cardinale Scola. S’immagina il caos... Risultato? Intere pagine per me, trafiletti per Scola».

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