Nel giardino all’italiana dedicato a Pascoli e regno delle badanti

Spesso, quando si tratta di sentimenti, vien facile tradurre il proprio stato con ciò che si ha in testa al momento, magari una bella citazione da un libro che si aveva tra le mani nella notte. Così capita oggi, quando il nostro Genius loci ha una duplice valenza, estetica e sentimentale. Traducendo dunque concretamente: ieri sera leggevo un saggio edito dall'estroso editore locale Campanotto, dove l'antiquario-scrittore veneziano Paolo Barozzi, ai più conosciuto come «l'amico-assistente di Peggy Guggenheim», racconta la città natale, e quanto segue mi è arrivato all'occhio. «E' difficile per me capire Venezia perché in un certo senso la conosco troppo da un lato e troppo poco da un altro». E poi prosegue: «Essendo la mia città, ho paura che sia diventata per me come certe vecchie abitudini, che non riusciamo più a toglierci». E la frase termina con un «pur abitando altrove (Barozzi si riferisce al suo periodo americano, ndr), cercando di dimenticarla, continuo a sognare Venezia».
Certo Udine non è Venezia, come nessun altro luogo ha quella solenne epicità «di intreccio tra terra, mare e cielo», ma le parole di Barozzi riescono a spiegare che ci sono luoghi nella nostra piccola patria d'origine che vediamo meglio se ci mettiamo tra noi e loro una distanza, un allontanamento. Forse li sogniamo migliori quando siamo lontani, ma se torniamo con il bagaglio del tempo e dei colori del mondo possiamo decifrarli con chiarezza. E' come se i dettagli si espandessero e si intrecciassero in una visione dall'alto.
Mi sto riferendo al giardino pubblico Giovanni Pascoli, all'incrocio tra via Dante e via Carducci, da me frequentato negli anni Settanta, da bambina, e rivisto ora. In mezzo c'è tutta la decadenza degli anni Ottanta, con bossi che sparivano e disegni vegetali in odore di marcio, ma io me li sono risparmiati. E quindi che dire? Il giardino è davvero un raro esempio di cristallino estetismo alle porte del centro storico. Meglio: una zona di sobria bellezza architettonica e vegetale, tra il nido stanziale degli udinesi alle pendici del castello e quella moderna onda multietnica dei dintorni più esterni, sempre in movimento.
Il nostro amato giardino invece, nel 2011, grazie alla valente azione filologica di restauro avvenuta nel 1997, è più o meno com'era negli anni Trenta del secolo scorso, al tempo del suo progetto. Un disciplinato giardino all'italiana, con bossi, ligustri, tassi, ginepri, palme, magnolie, e due aiuole, entrambe in posizione assiale rispetto al palazzo della Guardia di Finanza ed entrambe a mosaico. Una è più grande, chiamata dagli esperti "paniere", l'altra, minore, è verso l'ingresso principale, a sud, con un mosaico floreale costruito a cinque punte e costellato di viole pansé. Qui, lato sud, c'è un rialzo di tre gradini e questo dà luogo a ciò che nella letteratura specifica si chiama "belvedere" (Consiglio: togliete quel bosso centrale, impedisce la vista; è stato messo da poco e non c'entra nulla con i disegni originali).
Massimo Asquini, già da noi interpellato per Palazzo Antonini, ex Banca d'Italia, e in questo caso responsabile della direzione del prezioso restauro (quando a fine corso Enaip ha coordinato gli allievi-giardinieri a rimodellare quest'area), definisce la piccola collinetta del Belvedere «luogo di contemplazione del teatro vegetale e della scenografia littoria». Già, littoria; il giardino nasce come complemento necessario al paesaggio urbano dei palazzi, in particolare di uno: quello davanti, la Casa del Fascio, ora palazzo della Guardia di Finanza. Nata dalla matita dell'architetto-ingegnere Ettore Gilberti nel 1933, si ampliò quasi contemporaneamente con l'antistante spazio verde. Ecco la notizia: il giardino è d'autore.
In origine si chiamava "Giardini pubblici Arnaldo Mussolini" (anche se ora ha i busti di Gramsci e Matteotti!) e va osservato in dialogo con il quadrilatero di case e palazzi qui intorno, presenti quando il Gilberti lo realizzò. Mi riferisco a palazzo Vuga, sempre opera sua (1913), e il neopalladiano Ambassador, in via Carducci, firmato da Provino Valle (1924). Anzi, di più. Tra i due, all'incrocio con via Giusti, sempre lato Ambassador, all'epoca risultavano casa e bottega del fotografo Attilio Brisighelli. E poi in via Dante c'è il palazzo storicista di inizio Novecento "Scuola Dante Alighieri" e verso via Roma il famoso Palazzo di Vetro di Ermes Midena (manca tanto Liberty intorno, ahimè).
Ecco. Se guardiamo il giardino nell'insieme notiamo subito i cinque ingressi, il che lo fa riconoscere all'istante come una rarità: una sorta di giardino-piazza. Ci si entra volentieri e questo è l'altro aspetto: la vivacità della destinazione d'uso in termini di popolazione. Questo è il punto d'incontro delle badanti di Udine. E proprio da via Dante partono i pullmini bianchi per l'Est, carichi di pacchi ed esistenze quantificate a ingombro. Un altro esempio di distanza, anche qui legato al sogno.
Al quesito formulato al Centro per l'impiego di viale Duodo mi viene risposto che dal 2005 le domande presentate per diventare disponibili alla richiesta (l'ormai mitica insostituibile badante) sono circa 3600. Italiane? No, grazie, sono meno del 10%, ma negli ultimi tempi in aumento. Sono ucraine la maggior parte. Seconde classificate: romene. Poche le sudamericane. Ed è così. Lo confermano i volti scolpiti delle bionde signore, sedute sulle panchine rosse. Sotto le loro confidenze sono nascoste frasi come "scimmietta + elefantina rosa" e "Pat e Chris sono stati qui" che fanno pensare amaramente che potrebbero avere un corrispettivo adolescenziale magari in Moldavia e Bielorussia, nelle scritte dei figli che queste signore non vedono quasi mai, nipoti compresi. E' per questo che il restauro filologico dei giardini di via Dante, proposto e realizzato dall'architetto Asquini e dalla sua squadra, ha un gran valore: conserva quasi intatto quel sano senso estetico dentro la storia di palazzi e giardini, che incatena echi di bellezza e memoria, in un contesto in cui non esistono nemmeno più attualmente in regione scuole per giardinieri-mosaicisti. Perché "panta rei"; ecco finalmente, dopo tanti anni l'ho detto pure io.
Elena Commessatti
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yy L'architetto Massimo Asquini iniziò a occuparsi di paesaggio con la campagna di catalogazione dei giardini storici in provincia di Udine, attuata per il Centro regionale di Passariano negli anni Novanta, e fa parte dello staff tecnico della Fondazione Benetton nei laboratori progettuali per il recupero del parco di Villa Manin e del sito dell'ex Ospedale psichiatrico a Udine. Attento alla conservazione del paesaggio storico, Asquini si è impegnato in interventi di restauro e valorizzazione di siti vegetali storici.
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