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UDINE. Un giornalista raramente va in pensione, nel senso di come dio comanda. Si assenta, non lascia mai. Magari lo si vedrà di meno in redazione, forse al cinema spegnerà il cellulare, nei casi irrecuperabili potrà pure scordarsi della preghiera laica del mattino. Ah, pardon, è la sacrosanta lettura del quotidiano nel mentre s’ingolla il caffé. Un nero a Trieste. “Gocciado” se con latte.
Ecco. Chissà se Giovanni Marzini, caporedattore della Testata giornalistica regionale Rai Fvg, oggi all’ultima firma del suo tiggì e da domani cittadino sollevato da orari e ansie varie, romperà gli schemi oppure si farà calamitare dall’inguaribile innamoramento.
«Una scelta tutt’altro che leggera, persino sofferta, direi. Ma tredici anni alla guida di un telegiornale fanno ventisei, se si conta l’impegno dall’alba al tramonto. Ci voleva uno stacco netto, ma questo implicava buttare dei vestiti dentro delle valigie. A pochi metri dai sessanta e dopo un bel valzer pre-Rai triestina in giro per il mondo, forse valeva la pena fermarsi».
L’ha detto. Fermarsi. Conoscendolo, gli sarà scappata. A guardarlo pare un quarantenne verso i cinquanta, nulla di più. Sarà il tennis. Sarà il fuoco della comunicazione che ti affianca dalla nascita e non ti molla, sarà l’aria del golfo, boh, sarà quel che sarà, eppure Giovanni continuerà – con moderazione – a fare il mestiere come se nulla fosse.
«Di modi ce sono a bizzeffe, senza per questo restare legati mani e piedi a un ufficio». C’è il premio Luchetta, tanto per dirne una. Marzini lo traina da sempre, è un motorino che non si spegne mai, l’ha visto nascere, lo vede crescere e lo vedrà ingigantirsi, perché questo è il progetto. Alt. Riordiniamo le idee.
- Senta, detto fra noi, domani mattina mica cadrà nel tranello di Fantozzi che al cantar della sveglia si proietta verso il 5 barrato?
«Non finirò ai giardinetti a gettare il miglio ai colombi. Voglio regalare altri dieci anni di movimento al mio cervello. Poi ci penseremo».
- Di solito chi brama d’impugnare una penna da grande lo pensa intensamente già da bimbo. Lei?
«Indovinato. Al liceo Oberdan dirigevo il giornalino della scuola».
- Come definirla geograficamente. Nato a Bassano del Grappa, triestino d’azione…
«Con un padre istriano di Pisino. Un sangue misto mare e monti».
- Da ragazzo, però, maneggiava un sogno mirato…
«Il radiocronista, sì. A forza di desiderarlo così tantoTutto il calcio minuto per minuto mi aprì il portone. L’Udinese bussava in Europa e ce n’era da divertirsi».
- Prima del salto, però, il sano praticantato e l’incanto della tv privata.
«Eh be’, le collaborazioni col Piccolo e con la Gazzetta dello Sport e un decennio a Telequattro, dalla fine dei Settanta. Andavano forte le tv casalinghe. Dopo i tastini del telecomando classici, uno, due e tre, venivamo noi. E la gente che scappava dalla Rai lì finiva».
- Ancora sport. L’assunzione in Rai nel 1988, 90° minuto, Tutto basket, i mondiali del ’98, gli europei del 2000. E sempre accompagnato da liberatorie racchettate sui campi in terra rossa.
«È andata proprio così. In quanti potevano e possono permettersi di lavorare con la passione della vita? Inutile, non ti stanchi, ti sporgi ben oltre l’orario, dimentichi i giorni, sei proiettato anima e corpo. Poi una sera in Olanda squillò il telefono. Giugno Duemila. La nazionale si giocava il regno d’Europa. Era il grande capo della Tg3/Tgr Nino Rizzonervo. “Non è che verresti a Trieste a riordinare la redazione?”, mi disse. Risposi va bene. Tredici anni fa. Esatti».
- Ne ha vista passare di acqua sotto Ponte Rosso, Marzini. Con la politica com’è andata? Pressioni, momenti difficili, cose così.
«Ho visto sfilare ben quattro presidenti di regione. Pressioni dice? No mai, non avrei problemi almeno a fare un accenno buttato là. A questo punto… Ah, mettiamoci dentro pure quattro campagne elettorali toste. Con un po’ di buon senso ed equilibrio si può fare».
- Telespettatori insoddisfatti?
«Normale. I triestini a volte turbati dal troppo spazio dedicato a Udine, gli udinesi a volte turbati dal troppo spazio dedicato a Trieste, non è facile barcamenarsi fra Friuli e Venezia-Giulia. Avrei voluto togliere il trattino, guardi. Per me è sempre esistita una sola regione».
- Il giudice supremo, però, è lo share. E a quanto si legge con lei boss ne avete fatta di raccolta… Senza piaggeria, per carità. I numeri sono numeri.
«Ce la siamo cavata con onore. Superando il 30 per cento abbiamo raggiunto le prime posizioni dei tg regionali italiani».
- Auscultiamo l’informazione. La trova in forma o debilitata?
«Fare buona informazione costa. E nessuno vuole spendere. Gli editori puri sono più rari dei Panda a macchie blu e non sempre hai quello che ti meriti. Il modello dominante, ormai, è quello ventiquattr’ore su ventiquattro. Anche le tv regionali dovrebbero adottarlo. E un tarlo che mi rode da tempo».
- C’è un qualcosa al quale rimarrà aggrappato?
«Al rotocalco Est-Ovest. Un osservatorio plasmato con la consapevolezza che fosse necessario, abitando in un crocevia delicato come questo».
- Ci sveli. Il suo Tg preferito? A parte il suo, ça va sans dire.
«Meglio Mentana di Minzolini. Il Tg2 è forse il meno governativo, il Tg3 il più politico. Quelli Mediaset non ce la faccio proprio».
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