Nives Meroi e Romano Benet, la prima coppia sul tetto dell’ultimo gigante dell'Himalaya

Conquistata l’Annapurna: primi al mondo senza ossigeno nè sherpa. Una storia prima di tutto di amore vero, inossidabile, più resistente delle rocce del K2 o dell'Everest

Alle 9 di venerdì mattina, 11 maggio, (ora del Nepal), Nives Meroi e Romano Benet hanno toccato la cima dell’Annapurna, a quota 8.091 metri. Hanno conquistato così il 14esimo e ultimo Ottomila dell’Himalaya, l’unico gigante che mancava alla loro incredibile collezione. Hanno frantumato mille record sportivi in 19 anni di ascensioni ai confini del cielo: prima coppia a raggiungere tutte le vette himalayane in cordata, senza ossigeno supplementare, senza campi fissi, senza portatori d’alta quota.

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Traguardi che fanno di Meroi e Benet un orgoglio del Friuli. Lei nata in provincia di Bergamo da genitori di Cividale, lui di Fusine (il posto più freddo della regione), entrambi di 55 anni, sono sposati da 28.

Ma tutti i primati del mondo rimpiccioliscono davanti alla storia umana di questa coppia, una storia che prima di tutto è d’amore. Un amore vero, inossidabile, più resistente delle rocce del K2, dell’Everest, del Nanga Parbat che Nives e Romano hanno calpestato milioni di volte. Perchè lui, anni fa, proprio quando la moglie era lanciatissima a diventare la prima donna del pianeta a scalare tutti gli Ottomila senza ossigeno (la sua concorrente era un’austriaca, Gerlinde Kaltenbrunner) si ammalò.

Fu il buio, lo stop alle scalate sulle montagne più difficili, l’addio al record di Nives, che puntualmente finì nel palmares di Gerlinde, che saliva da sola. Ma il cuore della donna, della compagna, in quei frangenti dolorosi, non ebbe esitazioni: al diavolo il record, la priorità era la salute di Romano. Ha aspettato che il suo uomo guarisse, poi si sono rimessi in marcia, insieme. E nel 2014, dopo 6 anni di digiuno, di rinunce, di fatiche, è arrivata l’ascensione vittoriosa sul Kangchenjunga: Nives e Romano erano di nuovo lassù, più forti delle avversità, con un sorriso grande così stampato sulle labbra. Esattamente un anno fa, maggio 2016, è arrivato il Makalu e ieri finalmente l’Annapurna, a chiudere un cerchio cominciato nel 1998 con il Nanga Parbat.

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Leila Meroi, sorella minore di Nives e sua “biografa” ufficiale, condensa in poche righe, sul blog che ha diffuso la notizia, la vicenda umana prima di quella sportiva. «14 Ottomila + 1... un altro primato: Romano Benet è l’unico alpinista al mondo che, dopo il calvario di una malattia gravissima e due trapianti di midollo osseo, resi possibili grazie al coraggioso dono di un misterioso gemello genetico, è riuscito a completare il suo sogno d’amore con la montagna». E’ ancora Leila che racconta, sempre sul blog, i dettagli tecnici di quest’ultima impresa che li proietta nella leggenda. Nives Meroi e Romano Benet sono saliti sulla cima dell’Annapurna dalla via cosiddetta “normale” ma con una variante per evitare i passaggi più pericolosi.

Lungo il percorso hanno allestito cinque campi d’alta quota. Venerdì sono partiti da 7.200 metri per l’attacco finale. Prima di loro solo 34 scalatori al mondo hanno completato la “collezione” degli Ottomila (secondo i dati del sito 8000ers.com), di cui solo la metà senza ossigeno. Il primo in assoluto fu Reinhold Messner nel 1986, mentre la prima donna (ma con il supporto dell’ossigeno supplementare) fu la coreana Eun-Sun Oh nel 2010. «In questo momento - scrive ancora Leila - si trovano al C4 (una sorta di bivacco a 7.200 metri d’altitudine), in attesa di poter rientrare al campo base. Come sempre l’unico momento in cui noi di casa possiamo dire la salita si è conclusa». Nives è riuscita a mettersi in contatto con la sorella, non appena è ridiscesa al bivacco.

«E’ stata una salita straordinaria che rappresenta il culmine della nostra carriera alpinistica - ha detto al telefono la scalatrice friulana -: un mix di stile, tecnica, coraggio, resistenza, affiatamento». Perchè le condizioni della parete erano letteralmente “estreme”: in questo periodo non ha mai smesso di nevicare, mettendo così marito e moglie in condizione di dover battere continuamente traccia nella neve fino alla cintola, scavare e riscavare per tirar fuori le tende, lavorare e studiare, decidere insieme quanto rischiare, se rischiare e quanto soffrire. Come sintetizzato da Alberto Zerain, con loro in cima: «l’alpinismo di una volta».

Adesso c’è solo l’attesa del rientro in Friuli, da trionfatori, di Nives e Romano, quando saranno celebrati come si deve. Loro, ancora lassù, nella tenda dove hanno passato la notte, ripenseranno a un’intervista rilasciata qualche tempo fa che rivela la loro essenza. «La vita di coppia è la stessa a casa e anche a 8 mila metri - disse Nives - perchè si riesce a litigare anche ad alta quota. Ma non oltre i 7 mila metri, perchè poi manca l’ossigeno».

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